Filosofare sull’esistenza di Dio o meno è una vera sciocchezza. Speculare a tal proposito sarebbe come imporsi una scelta aprioristica. Non v’è nulla e nessuno che possa dirti alcunché di specifico. Se lo senti, esiste. Se non ne hai la benché minima intuizione, se non lo scorgi nelle piccole grandi cose che ti circondano o, perlomeno, nella tua interiorità, sarà inutile che te lo imponga.
Le credenze predeterminate, da qualunque fonte provengano, sono solo aria fritta. E se fosse, invece, la paura a sospingerti verso una determinata risoluzione? E se fossero, ancor più, il dolore, la sofferenza, la precarietà, sia fisica che mentale, a indurti a pregare, a sperare? E se fossero, infine, la gioia, la felicità per un determinato successo, una qualunque della variegata e multiforme, pressoché infinita sfilza di emozioni a condizionarti e, quindi, a convincerti a celebrare la gloria dell’Assoluto?
Mi trovo in imbarazzo. Non so se parlarne, ma tant’è. a ben pensare può darsi pure che l’abbia già raccontato. Mentre sul bordo di una stradina semivuota osservavo uno scorcio di campagna antistante, l’insieme cominciò, di punto in bianco, a brillar di luce propria. Persino l’aria aveva un suo splendore intrinseco. Mi sentii così certo di ciò che vivevo che, senza girarci su più di tanto, ne dedussi: Dio è luce. Sennonché, col senno di poi argomentai: era solo un ulteriore stato di coscienza. Sarà – mi chiesi –, ma cos’è la coscienza se non un superbo – e al contempo umile – faro di pura, purissima luce?