Dinanzi a tanta insistenza … Il rapporto tra la morte e la meditazione? Il culmine della meditazione è come una piccola morte, quella dell’ego, ovviamente. Tutto ciò in cui abbiamo investito speranze, e quindi risorse psicologiche, credenze, pseudoidentità, presunti valori, certezze, amori, identificazioni molteplici, noi stessi, il fatto di pensare e credere mi chiamo in questo o in quell’altro modo, sono uno studente, un professionista, un operaio, ecc., sparisce, si dissolve, si volatilizza. Che resta?
Rimane l’individuo autentico, primigenio, la sua vera natura, che è consapevolezza, amore disinteressato, compassione, condivisione e, soprattutto, gioia. Questo è il rapporto tra la vera morte, quella dell’ego, e la meditazione. Quando si sperimenta questo stato – che gli yogi definiscono superconsapevolezza e i mistici designano come samadhi – rimane l’inno dell’energia che celebra se stessa, la vita. La paura non ha senso in quanto subentra una strana, apparentemente assurda certezza, quella della nostra immortalità.
Fin quando il nostro orizzonte è limitato alla vita come impermanenza vediamo che ogni cosa è composta da innumerevoli frammenti che si dissolvono e ricompongono impietosamente. Ma quando l’orizzonte si amplia sino a comprendere l’essenza medesima del creato, dell’increato, o se preferite della manifestazione, quindi di ciò che è, chi perirà? Se sono divenuto la pietra ai miei piedi come la rosa e il giardino e il bosco, chi mai perirà?