Sedersi correttamente per meditare, ci riferiamo, nello specifico, alla postura di zazen, non è un fatto immediato. Per quante nozioni abbiamo potuto accumulare, ossia per quanta tecnica ciascuno abbia tentato di assimilare, esiste sempre l’incognita dell’esperienza diretta. Quindi, per principiare, sedete e basta. Dopodiché ciascuno si destreggerà per cogliere il meglio della circostanza. Roland Yuno Rech offre, a tal proposito, degli ottimi suggerimenti. Subito dopo essersi cimentati con la postura si comincia a osservare la respirazione. Ed è là che ciascuno, – ne siamo certi – darà il meglio di sé stesso. Unica raccomandazione che al momento ritengo sia utile sottolineare: non aggrappatevi a nulla, tanto meno a questa splendida arte che è la meditazione …
«Sedetevi con cura nella postura di zazen. Non iniziate se avete l’impressione di non essere equilibrati. Poi, una volta nella giusta postura, non muovetevi più. Osservate il vostro corpo. Concentratevi sui punti più importanti: colonna vertebrale eretta, tesa a partire dalla vita, ma senza rigidità. Non bloccatevi, è come se voleste spingere il cielo con la testa. Rilassate le tensioni inutili (plesso solare, ventre). Concentratevi sulle mani: il taglio delle mani è in contatto con il basso ventre, i pollici si toccano senza tensioni, senza formare né montagne né valli. Durante zazen potete concentrarvi su questo contatto, un contatto dolce. Evitate di muovervi, se non per correggere il tono dei muscoli. Le reni non sono né troppo tese, né rilassate. Trovate l’equilibrio giusto nell’inclinazione in avanti.
Quando vi sentite bene nella postura potete cominciare a osservare la respirazione, l’espirazione, seguita immediatamente dall’inspirazione. La vostra respirazione deve essere fluida. Andate oltre i vostri blocchi, sino al fondo di ogni espirazione, accompagnandola senza forzare, con una pressione sugli intestini verso il basso. Espirate con calma e, alla fine, lasciate che l’inspirazione avvenga naturalmente. Ripartite subito con una lunga espirazione. Il ritmo della respirazione si stabilizzerà progressivamente, diventando ampio come l’onda lunga dopo che la tempesta si è calmata. Ogni espirazione è come una grande onda che s’infrange sulla riva; l’inspirazione è come la risacca.
Nell’insegnamento dello Zen si parla spesso del Dharma del Buddha, del risveglio del Buddha. Il significato profondo della nostra pratica consiste nel realizzarlo completamente e intimamente. Questo Dharma, questo risveglio non può essere realizzato attraverso il nostro ego, con la coscienza personale. Non possiamo comprenderlo attraverso lo spirito umano ordinario. Quando entriamo nel dojo per praticare zazen dobbiamo abbandonare completamente lo spirito umano ordinario, lo spirito che seleziona, sceglie, rifiuta… lo spirito che vuole sempre afferrare o fuggire. Non esiste alcuna libertà autentica finché si è diretti dallo spirito di questo ego e, poiché l’ego non può abbandonarsi da solo, zazen consiste nel concentrarci sul corpo, la respirazione, la postura…
Nel momento in cui entriamo nel dojo, diventiamo attenti a ogni gesto. Invece di agire macchinalmente, prendiamo coscienza del nostro corpo e lo abitiamo totalmente. Quando facciamo gasshō, siamo completamente in gasshō, non si tratta di un gesto rituale vuoto. Sensei diceva: “La mano sinistra rappresenta Buddha, la mano destra se stessi. Fare gasshō rappresenta l’incontro di sé stessi col Buddha”. Facendo questo gesto dimentichiamo noi stessi, esprimiamo il nostro rispetto nei confronti di tutti gli esseri coi quali pratichiamo zazen. Non facciamo gasshō a metà, ma con un impegno totale. E’ la stessa cosa quando assumiamo la postura: non ci accontentiamo di posare le natiche sullo zafu aspettando che il tempo passi, ma lo facciamo con un totale impegno, come se ne dipendesse la nostra vita, un impegno vivente. Non seguiamo i nostri pensieri personali, viviamo totalmente con il corpo.
Esistono molti modi di praticare zazen, ma uno solo è quello giusto. Esiste lo zazen durante il quale ci battiamo contro noi stessi, opponendoci ad esempio al dolore alle ginocchia; quello nel quale passiamo il tempo a ruminare le nostre ossessioni; lo zazen nel quale dormicchiamo o ci compiacciamo in una sorta di estasi, nel quale creiamo attaccamenti, e si tratta dello zazen dell’essere umano ordinario. E’ sempre lo spirito dell’ego che ci dirige. Allo stesso modo possiamo fare zazen per ottenere una condizione speciale dello spirito, perché vogliamo diventare Buddha, raggiungere il satori… Continuiamo così a trasmigrare seguendo il nostro spirito di attaccamento o di rifiuto.
L’autentico zazen del Buddha inizia quando non cerchiamo nulla. Presenti nella postura, attenti alla respirazione, osserviamo solo un istante ciò che appare e scompare e lasciamo passare.
Non è possibile evitare i propri fantasmi, i propri desideri. Voler realizzare ciò non è lo zazen del Buddha.
Occorre reagire rapidamente quando avviene qualcosa nel dojo, essere attenti agli altri, caritatevoli quando è necessario. Non siate inquieti, questo genere di fenomeni può avvenire in sesshin: è una reazione forte, ma poi va molto meglio. Prendete una coperta, stendetela fuori, fatelo respirare e tutto passerà. Nella vita ordinaria molte persone sono stressate e non se ne rendono conto. Il merito della sesshin è di servire da specchio. Possiamo tornare rapidamente alla condizione normale, specialmente qui dove la vita è semplice e naturale.»
(Sesshin di L’Arche diretta dal Maestro Roland Yuno Rech, Yui Butsu yo Butsu – Da Buddha a Buddha, Capitolo dello Shōbōgenzō del Maestro Dōgen, Venerdì 26 maggio 1995, kusen delle 7:00)
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– Roland Yuno Rech — Wikipédia (wikipedia.org)
– Sesshin – Wikipedia
– Fonte