Con la semplicità con cui sovente si cimenta, Philip Novak accenna, ancora una volta, al concetto di “attenzione” correlato alle tematiche introspettive – o quant’altro – della meditazione. Ebbene, come si sviluppa l’attenzione nell’ambito delle tradizioni prevalentemente indiane? Per spiegarlo al meglio cita, brevemente, le pratiche inerenti più conosciute, ossia lo yoga, i mantra, la meditazione samatha e vipassanā, la visualizzazione, i koan, lo zazen … Ebbene, qual è il loro comune denominatore? Ovvio che si tratta solo di spunti, ma tant’è, principiare e perseverare …
«Pratiche che rinforzano la capacità di concentrazione o attenzione sono presenti nella maggior parte delle tradizioni religiose. L’importanza dello sviluppo dell’attenzione è evidente soprattutto nella grandi tradizioni nate in India, in particolare nell’induismo e nel buddismo. Dai veggenti upanishadici ai giorni nostri, in India esiste una tradizione ininterrotta con cui l’uomo ha cercato di unirsi (nel cuore e nella mente) alla realtà assoluta. Lo yoga assume molte forme, ma quella psicologica essenziale è la pratica dell’attenzione su un solo oggetto, o concentrazione (“citta-ekāgratā”). Che si tratti di fissare l’attenzione su un mantra, sul respiro o su qualche altro oggetto, il tentativo di acquietare le attività automatiche della mente attraverso l’attenzione concentrata è il primo passo e il tema ricorrente dello yoga psicospirituale hindu.
Per le tradizioni nate da Gautama il Buddha, non poteva essere diversamente. Le forme di meditazione “samatha” e “vipassanā” nella tradizione Theravadā richiedono, come àncora e radice, una capacità sempre maggiore di mantenere fissa l’attenzione, senza cedere alle varie forze psicologiche che tendono a disperderla. Samatha è la pratica dell’attenzione su un oggetto, ed è il punto di partenza comune per vari tipi di meditazione buddista. La meditazione vipassana consiste nello spiegamento dell’attenzione concentrata creata nella samatha da un punto all’altro dell’organismo, con lo scopo di comprendere alcune dottrine buddiste a un livello esperienziale sottile. Sebbene l’attenzione ricercata nella meditazione vipassana non sia focalizzata su un oggetto, essa resta una forma di attenzione altamente concentrata e diretta, l’antitesi stessa del vagabondare mentale dispersivo. In modo simile, la pratica tibetana della visualizzazione (che comincia solo dopo la pratica preparatoria della samatha) serve a sviluppare la costanza della mente, tramite la costruzione di elaborate immagini sacre sullo schermo della consapevolezza. Le due pratiche principali della tradizione zen, il “koan” e lo “zazen”, hanno il comune denominatore della pratica di un’attenzione continua e vigile. Inoltre, le principali scuole contemplative del buddismo danno molta importanza alla qualità della consapevolezza, cioè all’essere presenti, consci e, in una parola, attenti.»
– Philip Novak –