Attenzione e meditazione sono due concetti gemelli, nel senso che procedono spesso di pari passo. Per meglio dire, non esiste meditazione che non sia supportata o preceduta da una congrua, silente, vivace o calma, puntuale attenzione … come non esiste alcun esercizio di pervicace o volitiva attenzione che non sia, a sua volta, seguito da una discreta e immancabile meditazione. Cos’è, in realtà, la famigerata quanto sollecita attenzione? Ovviamente, in particolare, quando ci s’impegna – o ingegna? – a coglier l’attimo, l’istante, quello che fugge e che quando ti sembra di averlo afferrato e scolpito svanisce vieppiù al soffio del minimo – elusivo e inafferrabile – pensiero. Tentiamo di scoprirlo leggendo, ponderatamente, alcuni congrui brani tratti dai discorsi del Buddha sull’importanza dell’attenzione (sammasati).
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Per colui il cui pensiero non divaga, la cui mente non è trascinata, che ha abbandonato bene e male, per colui che è vigile, per costui non esiste paura. (Dhammapada, 39)
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Piccoli, sottili pensieri: se inseguiti, rimescolano il cuore. Non comprendendo l’effetto dei pensieri sul cuore, si corre di qua e di là, con la mente fuori controllo. Ma comprendendo l’effetto dei pensieri sul cuore, la persona vigile e consapevole li trattiene. E allorché, inseguiti, rimescolano il cuore, colui che è sveglio li lascia andare senza traccia. (Udâna, Meghiya Sutta)
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È buona cosa prestare attenzione a ciò che si dice e si pensa. Il praticante attento si sente libero e allegro.
(Dhammapada)
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Non inseguire il passato, non crearti aspettative per il futuro. Perche’ il passato non esiste piu’ e il futuro non esiste ancora. Da’ attenzione alle cose cosi’ come sono in questo istante – proprio qui e proprio ora – senza farti tirar dentro, senza vacillare. Cosi’ ti devi esercitare. Devi stare attento oggi, perche’ domani, chissa’, potrebbe esser troppo tardi. La morte arriva all’improvviso e non vuol sentir ragioni. Se vivrai cosi’, con attenzione, giorno e notte, allora si’ che potrai dirti saggio
(Bhaddekaratta Sutta, Majjhima Nikaya 131).
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«Attento sia il praticante e consapevole: questo ritenete, o monaci, come nostro insegnamento. E come, o monaci, il praticante sta attento? Ecco, o monaci, il praticante, dopo aver rigettato desideri e preoccupazioni mondani, vigila attento presso il corpo sul corpo, presso le sensazioni sulle sensazioni, presso la mente sulla mente, presso gli oggetti mentali sugli oggetti mentali: così il praticante sta attento. E come il praticante è consapevole? Egli rimane consapevole nell’andare e nel venire, nel guardare e nel non guardare, nell’inchinarsi e nel sollevarsi, nel portare l’abito e la scodella dell’elemosina, nel mangiare e nel bere, nel masticare e nel gustare, nel vuotarsi di feci e di urina, nel camminare e nello stare e nel sedere, nell’addormentarsi e nel destarsi, nel parlare e nel tacere: così il praticante è consapevole. Attento sia il praticante e consapevole: questo ritenete, o monaci, come nostro insegnamento». (Buddha, “Mahâparinibbanâsutta”, Digha Nikaya 16)
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Colui che prima viveva immerso nella distrazione e poi diventa attento, illumina il mondo, come luna libera dalle nuvole. (Dhammapada, 172)
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«Questa fu la mia scrupolosità: fui sempre consapevole nel camminare avanti e indietro, al punto ch’ero sempre colmo di compassione perfino per una goccia d’acqua, attento a non ferire alcuna delle minuscole creature annidate tra le fessure del terreno. Tale era la mia scupolosità». (Majjhimanikaya, 12)
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Vivi senza bramosa avidità, colma la tua mente di benevolenza. Sii consapevole e attento, interiormente stabile e concentrato. (Anguttara Nikaya II, 29)
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Così ho udito: “Riguardo ai fattori interni, non vedo nessun altro singolo fattore come la giusta attenzione che sia così importante nell’addestramento di un praticante che non abbia ancora raggiunto la meta del cuore, ma sia intento al suo conseguimento. Il praticante lascia perdere ciò che non è utile e sviluppa ciò che è utile. La giusta attenzione è la qualità del praticante in addestramento: nient’altro è così importante per il raggiungimento dell’obiettivo supremo. Il praticante, con il giusto sforzo, raggiunge la fine dello sforzo”.
(Itivuttaka, I, 16)
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