Lo zen è, fondamentalmente, al di là di qualunque concezione religiosa, ma non solo, è pure oltre le abituali elaborazioni filosofiche che riguardano idee, concetti, opinioni … Tuttavia, per descriverlo almeno un po’, non basta richiamarsi al conosciuto. Sarebbe utile, semmai, rivolgersi al di là … di cosa, di grazia? Forse dell’ego? Oppure, bisognerebbe adoperarsi per agguantare la totalità, ma in un battibaleno, prim’ancora che il suo stesso pensiero nasca. Quindi abbandonate i voli pindarici e rimanete proprio dove siete già, seduti, presenti, integri e finanche compiuti. Vi sembra troppo? Leggiamo Kodo Sawaki …
«Quando ci troviamo a dover spiegare che cosa sia la pratica dello zazen, di solito scopriamo che è più facile dire che cosa “non è”.
Ota Roshi, uno dei discepoli di Kodo Sawaki, che non ebbe mai un sangha come il M° Deshimaru, ma solo un paio di discepoli, disse una volta che non dovremmo portare nulla dall’odore di umano nel cuore dello zazen. Soltanto sedersi come se ci avessero mozzato la testa.
Allora, non ci sono più “cose umane” intorno, non c’è più il naturalismo né lo spontaneismo, né natura di Buddha, né non natura di Buddha, né “io”, né gli “altri”. Così, quando facciamo questo zazen-shikantaza siamo solo seduti e non stiamo facendo neanche zazen. Se, ad esempio scrivete una poesia, o passate l’aspirapolvere, o fumate una sigaretta, anche se dite “io scrivo una poesia”, “io passo l’aspirapolvere”, “io fumo”, quell'”io” scompare totalmente dentro l’azione stessa, se viene compiuta completamente, come se fosse la sola cosa esistente in quel momento. In questo modo si è completamente dentro un’azione, e, nello stesso tempo, se ne è fuori. L’ego viene totalmente assorbito, al di là di ogni dualità. In zazen siamo, sia completamente dentro, che completamente “fuori”.
Non si tratta di una fredda pratica inumana, è solo la pratica che ci permette di ritrovare quell’unione con l’ordine cosmico che avevamo prima della nascita, senza costruzioni mentali, senza divisione tra “natura di Buddha” e “non-natura di Buddha”. È la pratica con cui troviamo la nostra natura originaria lasciando andare, lasciando cadere corpo e mente. Nell’Hannya Shingyo di ogni mattina, o d’ogni sera (anche quando siamo soli, possiamo recitarlo comunque, se le desideriamo) diciamo “gen ni bi zetsu”, cioè non occhi, non naso, non orecchie, non gusto.
Significa essere al di là della vista personale, al di là dei propri occhi, delle proprie orecchie…
Non è una pratica tipo “io sono felice, tu sei felice…”. È la pratica della profonda libertà, libertà da sé stessi e dagli altri.
Senza dipendere da nulla si dipende solo dall’ordine cosmico, comprendiamo che ognuno porta sempre con sé il proprio ultimo giorno. Oggi?
L’ordine cosmico originario (ku) è invece al di là di tutto ciò che ha una nascita e una morte e che per questo è sofferenza e trasmigrazione. Realizzare la Via in verità non è un “accadere” di qualcosa, ma è solo un rientrare nella continuità di un Universo già risvegliato in sé stesso, senza separazione dai fenomeni, e senza separazione tra “satori” e “fenomeni” (=luogo di pratica).
Per fare questo, c’è un modo, un modo di seguire la via, qualsiasi cosa facciamo, o siamo e senza radicarsi su nessuna posizione fissa del tipo questo è “bene”, o questo è “male”. Non lo possiamo sapere.
Non possiamo sapere la Verità, che tuttavia è in ogni cosa e in ogni minimo aspetto della nostra vita, sia esso fonte di gioia o di dolore, puro o impuro, bello o brutto, facile o difficile, torti o ragioni.
Il segreto è mantenere sempre la mente dove è il corpo. È questo il luogo inconscio e naturale da dove i semi del karma assoluto dello zazen fanno nascere, a poco a poco, la chiara visione della realtà che conduce alla saggezza, alla compassione e alla gratitudine, senza più bisogno di andare in giro a domandare agli altri.
Questo è poggiare solo su sé stessi. Tutto, ogni cosa non poggia che su sé stessa e si trova in correlazione, in interdipendenza con ogni altra cosa, anche opposta, in modo naturale, inconscio, “automatico”.
Zazen poggia su sé stesso solamente. Ogni uomo può imparare a scoprire “come”. Dio, Buddha, non poggiano che su se stessi e non sono separati da nulla. Come? Ognuno deve trovare in sé il “come” della sua totale libertà.
“È come gli animali che non di rado provano gratitudine. – diceva Dôgen, – Perché l’essere umano dimentica la gratitudine? È una cosa desolante. Se non si conosce la gratitudine, la riconoscenza, si è ancora più stupidi degli animali”. Quando gli uomini iniziano ad abbandonare le azioni volte ad uno scopo di profitto, scoprono la gratitudine, uno degli insegnamenti del M° Deshimaru che risponde all’urgenza dell’uomo di oggi di mettere fine ad assurdi conflitti e a molti altri suoi mali.»
(Traduzione dal francese di Daniele Martino)
– Kodo Sawaki – it.wikipedia.org/wiki
– Lo Zen di Kodo Sawaki – Macrolibrarsi
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