La meditazione è una pratica fondamentale per realizzare la nostra essenza illuminata, la natura di buddha che risiede in tutti gli esseri senzienti. In questo articolo, il rinomato maestro buddhista tibetano Chokyi Nyima Rinpoche ci spiega come studiare, riflettere e meditare sugli insegnamenti del Buddha e dei grandi maestri realizzati del passato possa aiutarci a riconoscere e a sperimentare la nostra natura ultima. Ci illustra anche i quattro tipi di insegnanti che dobbiamo incontrare e seguire per progredire nel sentiero verso l’illuminazione: l’insegnante in carne ed ossa che appartiene a un lignaggio, l’insegnante in forma scritta degli esseri risvegliati, l’insegnante simbolico dell’esperienza e l’insegnante assoluto della natura innata. Quest’ultimo è il solo autentico insegnante, che ci guida dal profondo del nostro cuore. Per incontrarlo, dobbiamo liberarci dalle preoccupazioni e dall’ansia che ci distraggono e ci impediscono di vedere la nostra vera natura. La meditazione è il mezzo più efficace per farlo. Come dice lo stesso Chokyi Nyima Rinpoche: “La meditazione non è una tecnica o un metodo artificiale; è semplicemente essere consapevoli di ciò che già siamo.”
Chokyi Nyima Rinpoche ha lasciato il Tibet nel 1958, e ha studiato in Sikkim nel monastero di Rumtek per diciassette anni. Dirige diversi centri di ritiro in Europa e negli Stati Uniti, dove insegna.
«Studiare il Dharma e riflettere sugli insegnamenti sono due attività fondamentali. Specialmente per quanto riguarda la visione della natura ultima, senza lo studio e la riflessione è molto difficile raggiungere una certa stabilità. Senza una buona base di studio e riflessione, si può essere facilmente ostacolati da dubbi o incertezze. Questo non significa che si finisca necessariamente per abbracciare punti di vista erronei, ma è facile che si creino fraintendimenti. Per questo è molto importante raggiungere una certa comprensione intellettuale degli insegnamenti, studiandoli e riflettendo su di essi.
Tuttavia, se ci limitiamo soltanto allo studio e alla riflessione, rimarremo dei puri e semplici intellettuali; senza ombra di dubbio, abbiamo assolutamente bisogno di addestrarci nella meditazione. Qui “meditazione” significa portare nella sfera dell’esperienza personale tutto ciò che abbiamo imparato, e su cui abbiamo riflettuto.
Quando parliamo di maestri spirituali, dobbiamo sapere che esistono quattro tipi di insegnanti – e che sono tutti e quattro indispensabili e di immenso beneficio. Il primo di questi è l’insegnante in carne ed ossa che appartiene a un lignaggio. Il secondo tipo è costituito dagli insegnamenti in forma scritta degli esseri risvegliati, che includono le parole del Buddha e le spiegazioni dei grandi maestri realizzati del passato. Il terzo tipo di insegnante viene chiamato l’insegnante simbolico dell’esperienza, cioè la nostra stessa esperienza personale derivante dal vivere in questo mondo. Per esempio, per capire a fondo l’insegnamento buddhista secondo cui l’esistenza samsarica è da rifiutare, dobbiamo prima comprendere qual è la natura dell’esistenza samsarica. Riflettendo sugli aspetti principali della nostra esperienza nella vita quotidiana, arriviamo alla conclusione che l’esistenza samsarica è futile e inaffidabile – non è qualcosa in cui possiamo riporre la nostra fiducia. In questo modo, la normale vita di ogni giorno diventa il nostro maestro: ci addestra nella realizzazione della futilità e dell’impermanenza. Ecco cosa significa insegnante simbolico dell’esperienza.
Abbiamo bisogno di incontrare tutti e tre questi tipi di insegnanti e di seguire i loro consigli. Dal punto di vista assoluto, tuttavia, esiste un solo autentico insegnante. È la nostra essenza illuminata, la natura risvegliata autoesistente in noi stessi, chiamata anche insegnante assoluto della natura innata. Tutti gli esseri senzienti, all’interno delle sei classi di esistenza, possiedono questa essenza illuminata. Anche gli esseri più sfortunati o sofferenti possiedono un’essenza illuminata, una natura di buddha; ma, a causa delle circostanze sfortunate in cui vivono, sono incapaci di metterla a frutto e di realizzarla. In ogni caso, chiunque riesca a sperimentare e a realizzare questa essenza risvegliata otterrà la piena illuminazione. Per quanto sofferenti o confusi possiamo essere ora, se portiamo la natura di buddha nella sfera della nostra esperienza personale e ci addestriamo in essa, diventeremo illuminati. Al contrario, se non facciamo esperienza di questa essenza illuminata e non la riconosciamo, non potremo ottenere la piena illuminazione. Per incontrare e riconoscere questa essenza illuminata, dobbiamo fare uso dello studio e della riflessione; soprattutto, più di ogni altra cosa, dobbiamo praticare la meditazione.
Questo insegnante assoluto della natura innata è presente in chiunque, in tutti gli esseri senza alcuna eccezione. Benché le cose stiano proprio così, non riusciamo a realizzarlo – non riusciamo a riconoscerlo. Ecco perché si dice che sia ricoperto da un velo di ignoranza; facciamo uso di questa analogia, come se fosse qualcosa di nascosto che dobbiamo riuscire a vedere. Dal momento che la nostra natura innata è chiusa in un guscio di fissazione dualistica, abbiamo bisogno di distruggere questa percezione dualistica. Indaghiamo un attimo, per verificare se questa affermazione è vera o meno.
Per quanto riguarda il distruggere questo guscio di fissazione dualistica – a meno che non usiamo qualche metodo, qualche tecnica, questo semplicemente non accadrà mai. Naturalmente il metodo migliore sarebbe l’assenza di sforzo, ma l’assenza di sforzo non può essere insegnata. Anche se ce la mettiamo tutta, non diventeremo automaticamente spontanei e liberi da ogni sforzo. Sembra che l’assenza di sforzo sia molto restia a verificarsi spontaneamente! Eppure, questo guscio dell’esperienza dualistica cade a pezzi quando noi “molliamo la presa” e ci rilassiamo nella condizione non duale.
Per guardare alla stessa cosa da un altro punto di vista: ogni singolo istante della nostra esperienza ordinaria è governato dalle abitudini, dai condizionamenti; e ogni singola abitudine è caratterizzata dallo sforzo deliberato. Perciò non abbiamo scelta: dobbiamo utilizzare la nostra attuale abitudine di fare ogni cosa con sforzo deliberato, per raggiungere l’assenza di sforzo.
Quando una persona affettuosa vuole consolare o alleviare il dolore di un amico, solitamente dice: “Non preoccuparti, rilassati”. Questa è veramente una delle più belle frasi che una persona possa pronunciare. Il rilassamento – specialmente il rilassamento mentale – è una risorsa fondamentale, qualcosa di assolutamente benefico. Fa parte della natura umana lottare per cercare di ottenere un guadagno materiale, piaceri dei sensi, una buona reputazione, apprezzamento da parte degli altri e così via, spesso in modo molto intenso o addirittura disperato. Se non ci rilassiamo, se non molliamo l’esagerato coinvolgimento, il nostro rapporto con le risorse e con i divertimenti diventerà vuoto e privo di sostanza, come se fossimo dei robot.
Quando una persona piena di ansia e preoccupazioni si sente dire, con sincero affetto e gentilezza: “Non preoccuparti, rilassati” questa frase può essere di grande aiuto, può indurre un cambiamento. Dire a qualcuno di “mollare la presa” e rilassarsi può ispirare un senso di pace. Questo è vero non solo per gli esseri umani, ma anche per gli animali: quando mostrate sul volto un’espressione sinceramente amorevole e con le mani accarezzate gentilmente un animale, questo lo aiuterà a sentirsi bene, a proprio agio. È importantissimo comportarsi con amore e compassione, ed esprimere questi sentimenti mostrando gentilezza e affetto. L’atteggiamento opposto è quello di agire spinti dalla rabbia, e mostrarsi aggressivi verso gli altri.
Ecco perché il Buddha, il perfettamente illuminato, diceva: “Dimorate nella quiete”. Di fatto, gli insegnamenti sulla pratica di shamatha (tib. Shine’, lett. “dimorare nella quiete”) suonano molto simili al: “Rilassati, non preoccuparti”. Quando ci diciamo: “Rilassati!”, il potere di questa semplice parola può avere un impatto molto profondo. La maggior parte di quelli che usano questa parola non colgono veramente il profondo significato di “Rilassati”. Diciamo “Rilassati!”, ma quello che ci impedisce di essere rilassati è, a un livello grossolano, la presenza delle emozioni perturbatrici. A un livello più sottile, ciò che impedisce uno stato della mente ancora più rilassato è la nostra attività di pensiero inconscia – una corrente sotterranea, quasi inosservata, di pensiero concettuale.
Quando il Buddha diceva: “Praticate shamatha, dimorate nella quiete”, egli stava dando un consiglio molto affettuoso. Ci stava dicendo di cercare di fare pace con noi stessi, di diventare stabili come un oceano – imperturbato dalle onde delle emozioni perturbatrici. Dobbiamo renderci conto che il grado in cui la nostra mente è dominata dalle emozioni perturbatrici, genera un grado corrispondente di dolore, di irrequietezza e frustrazione. Con un livello medio di emozioni perturbatrici, proveremo un livello medio di dolore. Anche quando c’è soltanto una corrente sotterranea di concetti, un flusso inconscio di pensieri, ciò ci impedirà di sentirci veramente a nostro agio, e di dimorare nello stato pacifico di shamatha. Perciò il Buddha diceva: “Restate completamente liberi, totalmente privi di emozioni conflittuali, senza nessuna attività di pensiero”. Questa pratica viene chiamata shamatha in sanscrito e negli insegnamenti dei Sutra viene spiegata con grande ricchezza di dettagli.
Una volta coltivato questo stato di shamatha, il passo successivo è quello di unirlo alla chiara visione, in sanscrito vipashyana (in tibetano Lhagtong). La pratica di shamatha, di stabilità nella quiete, in sé e per sé è insufficiente per ottenere la liberazione dall’esistenza samsarica. Per questa ragione è estremamente importante studiare con attenzione gli insegnamenti, riflettere su di essi e dissipare i dubbi sul modo corretto di praticare.
Dobbiamo capire che la pratica di shamatha ha dei pro e dei contro, un aspetto positivo e uno negativo. L’aspetto positivo di shamatha consiste nella libertà da qualsiasi emozione perturbatrice, libertà dalla frenetica attività di pensiero rivolta ai tre tempi (passato, presente e futuro). L’aspetto negativo di shamatha consiste nel fatto che di per se stessa non conduce alla liberazione dal samsara: può condurre alla liberazione soltanto quando è unita a vipashyana. La realizzazione di tutti i Buddha è descritta come l’unione di shamatha e vipashyana, mai come shamatha da sola.
Riepilogando, all’inizio – quando non siamo coinvolti in pensieri ed emozioni conflittuali – c’è un immediato senso di pace, di sollievo dalla sofferenza. Lo stato di shamatha non è contaminato da pensieri relativi al passato, al presente o al futuro; se si è liberi dai pensieri dei tre tempi, si è liberi anche dalle emozioni perturbatrici. In aggiunta a shamatha, esiste anche la pratica di vipashyana, che significa “chiara visione”. La natura fondamentale della mente, la nostra natura innata, è una condizione risvegliata in cui la vacuità e l’esperienza cognitiva sono unite inseparabilmente. A meno che non sorga una chiara visione di questa condizione risvegliata innata, restare puramente e semplicemente calmi in uno stato di immobilità mentale significa essere essenzialmente ignoranti. Dobbiamo fare di più, che restare semplicemente liberi dalle emozioni perturbatrici e dall’attività di pensiero. Sia pure eccellente, una sensazione di tranquillità non basta a riconoscere chiaramente la nostra natura innata. La condizione risvegliata autoesistente, l’unione di vacuità ed esperienza cognitiva, è totalmente libera da ogni fissazione su soggetto e oggetto. Restare con equanimità in questo stato è chiamata unione di shamatha e vipashyana. Quindi raddrizzate la schiena; smettete di parlare e non forzate né controllate il vostro respiro – lasciatelo fluire naturalmente. La realizzazione di tutti i Buddha è l’unione di shamatha e vipashyana.
L’addestramento nella meditazione è l’opposto dell’ordinario stato mentale concettuale, in cui si pensa: “Io sono qui, il mondo è là”. Essendo così diverso dallo stato mentale ordinario, è di fondamentale importanza studiare e riflettere, allo scopo di sradicare ogni incomprensione, fraintendimento o dubbio che possiamo avere sul corretto punto di vista, cioè la corretta comprensione delle cose così come sono, della condizione primordiale. Una volta raggiunta la certezza sul corretto punto di vista – se lo traduciamo in pratica nella nostra meditazione, perfino una breve seduta di meditazione avrà un grande impatto. Al contrario, se non raggiungiamo il giusto punto di vista sulla condizione primordiale di tutte le cose, l’effetto della nostra pratica non sarà così grande – anche se siamo molto diligenti. In breve, non separate mai i tre processi di imparare, riflettere e meditare, perché questi possono eliminare tutti gli errori derivanti dall’incomprensione, dal fraintendimento e dal dubbio.»
(Scelto, adattato e tradotto da Italo Cillo – Fonte)
– Chokyi Nyima Rinpoche (amazon)
– Chokyi Nyima Rinpoche (macrolibrarsi.it)
– https://www.facebook.com/Chokyi.Nyima.Rinpoche
– Chökyi Nyima Rinpoche – Wikipedia