Una breve introduzione formulata col solo scopo di semplificare un po’. Sii presente, complessivamente, a tutto ciò che accade, non distinguere, non separare con osservazioni o constatazioni del tipo: qui ci sta il dolore e là ci sono io che osservo il dolore. Prendi spunto dai tuoi migliori attimi di felicità, di benessere, ri-diventa consapevole dell’insieme, della sofferenza specifica come del contesto in cui si verifica e la tensione scemerà d’improvviso. Chi sei dunque, colui che stenta e patisce o una sorta di anima separata che dal suo centro percepisce quanto gli accade intorno?
Alan Watts, in questo brano, suggerisce di dedicare particolare attenzione all’eterogeneità multiforme che ci circonda allo scopo di abbracciare e contemplare la totalità; di conseguenza quei meccanismi di tensione che alimentavano – più di quanto non fosse già di per sé inevitabile – l’eventuale disagio si attenueranno da soli. Chi sei in questo momento, sei la sofferenza o colui che la osserva? Non limitarti a un unico aspetto, sii consapevole di entrambi. Ad ogni modo, al di là dell’intento, relativamente opinabile, dichiarato nel testo, il fatto stesso di rivolgere la propria attenzione all’insieme in un istante senza mente né tempo è un atto di vera e propria meditazione.
“Stai ascoltando una canzone. All’improvviso ti chiedo: “Chi sei in questo momento?”. Come risponderai con immediatezza e spontaneità alla domanda, senza smettere di ascoltare per trovare le parole? Se la domanda non ti distrae dall’ascolto risponderai canticchiando la canzone. Se la domanda ti ha sorpreso risponderai: “Chi sei tu in questo momento?”. Ma se smetti di pensare, cercherai di dirmi qualcosa non su questo momento, ma sul passato. Verrò informato sul tuo nome, il tuo indirizzo, i tuoi affari e la tua storia personale. Ma ti ho chiesto chi sei, non chi eri. In effetti, essere consapevoli della realtà, del presente che è vissuto, significa scoprire che in ogni istante l’esperienza è tutto. Non c’è nient’altro oltre a essa: nessuna esperienza di un ‘tu’ che sperimenta l’esperienza.
Anche nei più evidenti momenti di autocoscienza, il ‘sé’ di cui siamo consci è sempre un qualche particolare sentimento o sensazione: di tensione muscolare, caldo o freddo, dolore o irritazione, respiro o sangue che pulsa. Non c’è mai la sensazione di ciò che sente la sensazione, proprio come non c’è alcun senso o possibilità nella nozione dell’odorarsi il naso o del baciarsi le labbra.
Nei periodi di felicità o piacere, di solito siamo abbastanza pronti a prendere coscienza dell’istante e a lasciare che l’esperienza sia tutto. In questi momenti ‘dimentichiamo noi stessi’ e la mente non compie alcun tentativo di dividersi da se stessa, di separarsi dall’esperienza. Ma con l’arrivo del dolore, fisico o emotivo, effettivo o previsto, ha inizio la frattura e il cerchio si allarga sempre più.
Non appena diventa chiaro che l’ ‘Io’ non può assolutamente sfuggire alla realtà del presente, perché l’ ‘Io’ non è nient’altro che ciò che conosco ora, questo scompiglio interno deve cessare. Non resta alcun’altra possibilità se non la presa di coscienza del dolore, della paura, della noia o della sofferenza nella stessa maniera completa in cui si è coscienti del piacere. L’organismo umano ha le più meravigliose facoltà di adattamento sia al dolore fisico sia a quello psichico. Ma queste possono funzionare appieno solo quando il dolore non viene continuamente ristimolato da questo sforzo interiore di liberarsene, di separare l’ ‘Io’ dalla sensazione. Lo sforzo crea uno stato di tensione in cui il dolore aumenta. Ma quando la tensione cessa, mente e corpo incominciano ad assorbire il dolore come l’acqua reagisce a un colpo o a un taglio.“
(Da: Alan W. Watts, La saggezza del dubbio. Messaggio per l’età dell’angoscia)
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