“Maestro, so bene che ciò che ci separa è solo un nonnulla”, farfugliò la rana in guisa del tutto colloquiale,”ma puoi indicarmi, comunque, la via più sollecita per realizzare la meta?”.
Il maestro non si lasciò pregare: “Quando non hai più velleità competitive; quando non sei più animata dal benché minimo senso di confronto o paragone; quando l’impulso a rivaleggiare, per primeggiare, è oramai scemato; quando il desiderio d’importi è divenuto così tenue da trasmutarsi in compassione e sollecitudine per gli altri; allora sarai sulla via.”
“Maestro, è questa la mèta?”, s’informò ancora la rana.
Sìcché il venerabile, suo malgrado, proseguì: “Quando il sentiero tracciato dagli innumerevoli Buddha predecessori, veri e propri pionieri alla ricerca del puro spirito, quello del nulla-tutto, diverrà così impercettibile da non poterlo più distinguere dal resto dell’incommensurabile paesaggio che credi d’intravedere, allora e solo allora il tuo orizzonte degli eventi collasserà e ti ritroverai d’improvviso nell’aldiquà, nell’ora, la tua unica e originale quanto impalpabile, evanescente, ben più che solida mèta”.
La rana ebbe l’impressione, più che mai repentina, di essersi tuffata, senza colpo ferire, nella non-coscienza, la non-meta di pressappoco tutti i pionieri dello spirito zen. Nell’accomiatarsi felice, ancorché riluttante e definitivamente confusa, dimenticò persino di ringraziare. Il giardino era tutto suo.