«Oggi non ho un briciolo di verità da dispensare. In genere elargisco sempre qualche minuzia. Che so, un pensiero, una riflessione un po’ più articolata, la spiegazione – forse sarebbe meglio dire il riassunto – di qualche approccio meditativo, ma desunto, come sempre, dal patrimonio mistico di questo nobile pianetino. Noi rane zen sopravviviamo, soprattutto, con lo studio della metafisica. In breve tempo il processo di consapevolezza graduale che adottiamo sin dalla più tenera età con l’ausilio della nostra, originaria, formazione educativa diventa una sorta di nutrimento … e non solo dello spirito, ma dell’unità corpo-mente.
Oramai, quando dialogo con voi, sono piuttosto sintetica. Credo che questi concetti li abbiate già assimilati. Forse, senza nemmeno rendervene conto, state usufruendo già – ma sul piano prettamente astrale – dei benefici che la via della “coscienza di sé” o dell’accettazione del proprio vuoto intrinseco … e così via … secondo le diverse accezioni che i vostri stessi maestri adottarono in merito; dicevo, dei benefici che siffatti approcci determinano per emanciparvi.
Sono stata prolissa? Spesso e volentieri lo faccio di proposito per sollecitare la vostra attenzione. Chi dorme, cioè chi si adagia senza aver prima raggiunto una sua rampa di lancio parapsichica tale da bypassare i meandri dell’inconscio collettivo, delle proprie paure ancestrali, ha perso in partenza qualunque round. Ma noi non siamo coloro che vogliono vincere a tutti i costi il gioco della vita, la parodia della recita. Noi siamo quel genere di antesignani umanoidi che compresero, da immemorabil tempo, come attingere al pozzo senza fondo della Verità.»
Così disse la rana zen durante l’ennesimo sproloquio mentre si stava chiedendo chi fosse il responsabile dell’improvvido ticchettio sul tetto d’infrangibili vetri opachi della confortevole pagoda nell’allegro e accogliente giardino estivo.