Questi racconti non servono a baloccarsi, a distrarsi, a intrattenersi. Non si tratta di storie nel senso più comune del termine. Per quanto finalizzati allo studio della meditazione, il loro vero scopo è … nessuno!
“Faremo il ponte. Basta con l’isolamento. Le unità mente-corpo residenti in questo antico pianetino dell’attuale dimensione – metafisica? – non possono più ignorare la propria origine. Proveniamo – o, se preferite, discendiamo – dalla sfera dell’incommensurabile e anche se al momento ci troviamo, nostro malgrado, invischiati nei prolegomeni dell’abc ontologico, altrimenti detto corpo gregario di classe semi-onirica, ci riprenderemo senz’altro il futuro. Non dimentichiamolo mai. Siamo il popolo più nobile e operoso giammai comparso tra i mondi subalterni al Sol Invictus.”
Così disse la rana zen alla straordinaria folla di astanti che, a dir poco … pendevano dalle sue labbra? … volevano crederle a tutti i costi? Macché, l’ascoltavano con una sorta di nonchalance che rasentava il patetico.
“Siamo il passato che si ripresenta in virtù dei sempiterni corsi, dei ricorsi (storici). Siamo i reduci dell’ultima legione di fieri, irriducibili guerrieri dello spirito e il ponte che costruiremo sarà, per l’appunto, quello proteso tra l’entità corpo-mente e l’indefinibile principio immateriale, ossia l’essenza.”
Sennonché un repentino raggio di luce – generato all’unisono dalle cinque stelle che sorgendo scandivano i ritmi di quell’umile esistenza – filtrò tra i dimessi tendaggi che creavano l’ospitale ambientazione dell’austera sala di meditazione.
La rana zen, colpita in pieno viso dal repentino, quanto immateriale, luminoso fendente, si ri-svegliò di soprassalto e … rise. Un ponte per ritrovare se stessi? Che significa? Piuttosto delusa rivolse quindi l’attenzione al respiro, l’unico vero ponte che potesse mai ricongiungere quelle due ali d’infinito, le due sponde: il benamato soma, coniugato ovviamente all’inseparabile psiche, da una parte; e il nocciolo vitale, la super-coscienza, dall’altra …
“Il desiderio di edificare ponti”, commentò brusco il maestro rimasto fin lì dietro le quinte, “rivela il disperato bisogno di colmare il vuoto interiore. Sottende carenze affettive, insoddisfazione di fondo, senso d’inadeguatezza e tenta di nascondere, soprattutto a se stessi, la facciata più brutale del proprio ego, quella che erige barriere, che dapprima crea miserie e poi, ipocritamente, si ripropone di debellarle. «Non dimorare su nulla, non fissarti sul bene o sul male, sull’essere o sul non-essere, sul dentro o sul fuori o da qualche parte tra i due, sul vuoto o sul non-vuoto, sulla concentrazione o sulla distrazione (cit. Hui Hai)». Dopodiché, stanne pur certa, agirai – sempre e comunque – di conseguenza …”.
“Che il Dio delle rane zen ci salvi dai facitori di ponti”, concluse ironicamente la discepola …