“Dolce di giorno” procedeva col cipiglio d’una antica e indomita eroina verso la meta dell’auto-dominio dei sensi. Il solo obiettivo che l’avesse mai attratta. Focalizzare ciò che le sembrava l’anima per centrare il giusto mezzo. Dolce di giorno cercava l’equilibrio. Mangiava, giocava, sì baloccava – quisquilie, pinzillacchere – sempre un po’ meno di quanto non le sarebbe piaciuto. Dormiva appena il necessario, non indulgeva in nulla. In poche parole, evitava accuratamente gli estremi.
Dolce di giorno era, com’é facile intuire, la nostra cara amica rana zen una volta rinata a miglior vita dopo la repentina debacle delle dissolute abitudini che l’avevano – sinora – contraddistinta. Ma non fraintendetemi, la rana zen era sempre lei, si era solo rigenerata. Di punto in bianco, quasi come un inatteso regalo, un inaspettato dono che le fosse piovuto dall’alto, si era imbattuta in un vigore indicibile.
Gli astanti, il prolifico e mutaforme popolo delle mezze rane, nella regione degli antichi stagni, pur ammirandola, dissimulavano a stento un profondo livore. Come, proprio lei, la rana zen, l’anfibio più eccentrico e dissoluto giammai comparso nel mondo extra-connesso dello “spirito senza dimora” … donde trae quell’insopportabile veemenza, la gioia? Sembra persino felice; e non demorde! Mentre noi, popolo vintage che tappezza comunque gli splendidi paesaggi di sovrumana bellezza della semi-incoscienza vigente, perché siamo così depresse? Decisamente allineate, ci uniformiamo a tutto e senza batter ciglio, crediamo nella ideologia religiosa e politica vigente … perché ci siamo spente?
A questo punto, com’é d’uopo, dovrebbe intervenire il maestro. Ma il Venerabile si dimostrava indifferente. Era un atteggiamento casuale, o quella semi-assenza celava l’ennesima lezione? Chissà … comunque nulla d’irreparabile.
– “Siete depresse perché non credete in me”, sospirò il silenzio.