Era un nitido mattino in giugno. Pioveva, sicché la rana non trovò di meglio che sintonizzarsi con il ticchettio delle gocce. Per inciso, meditare sui rumori ambientali, purché siano dovuti a fenomeni spontanei è un ottimo esercizio. La morbida sinfonia dell’acqua che – col suo lievissimo tocco benedice tutto ciò che incontra – sembra qualcosa di miracoloso. Se poi a quella sorta di delicato fruscio aggiungi il ritmo che la natura le consente, ti accorgi che non esiste sortilegio più prezioso.
La rana zen era letteralmente estasiata. Il giardino fremeva di vita invisibile. Ligia alla tradizione aveva assunto una postura esemplare e il suo piccolo-grande mondo era divenuto solo quel modesto quadrilatero a cui dedicava tutte le cure possibili. Contribuire a creare un giardino semi-spontaneo è difficile. Il suo compito consisteva soprattutto nell’assecondare l’insieme. Inventare una panchina dove sarebbe stato naturale sedersi. Tracciare un sentiero dove le circostanze fortuite lo avevano già delineato… e così via. D’altronde, tale avrebbe dovuto essere la sua meditazione.
Gli insegnamenti che le aveva impartito il suo maestro erano stati espliciti. Quindi, la splendida e luminosissima rana, il cui fulgore dipendeva soprattutto dalla sua proverbiale amabilità, si era adattata con gioia.
Tutto qui? Cos’è che accadde?
“Perché sei così fissata che debba, per forza, accadere qualcosa?”, mi bisbigliò il maestro in uno dei corridoi che conducevano alla sala di meditazione riservata ai visitatori. “Così facendo crei solo tensioni inutili. Il tuo è un comportamento ansiogeno”.
Io tacqui e lo fissai sbalordita. “L’erba cresce da se”, proseguì il maestro. “La calma non ha mai la medesima origine, ma se proprio ti volessi impegnare cerca il profumo che non scaturisce da nulla”.
La rana si disse: “Sta per accadere il presente”.