È una poesia sui generis, oserei dire ermetica, se non iniziatica… che allude, ma non traccia. Non ha un’interpretazione univoca. Chiunque la legga può trarne quindi le deduzioni che – in virtù del proprio insight pregresso – riesce a scorgervi, a intravedere: dal riflesso speculare del proprio volto originale a una pletora di presumibili verità, ma che non possono essere espresse. Sennonché l’unico artificio con cui intuirle, comprenderle o comunicarle è tramite i loro stessi simboli, quelli della tradizione che richiamano gli archetipi più specifici della nostra attuale condizione umana.
Libero pensiero
Di qua, di là, nell’oltre.
Cos’è, cosa non è, il libero pensiero?
Là dove i simboli ne tracciano la via;
là dove l’arte antica ti offre gli strumenti
per scolpire e modellare la pietra grezza e ancora
sull’ideale della ricerca che diviene amore
per sublimare il vile nel sentiero aulico
ch’esalta e che protegge chiunque s’incammini;
quando dal Tempio fisico accedi all’interiore,
là dove in fondo all’apice campeggia il Facitóre,
tre volte e poi non più, ma è meglio che restare
di qua dalle colonne senza sapere come
attingere allo spirito che indica, ma senza dire
che l’armonia è un ordine che illumina chiunque
si dia l’ingrato compito di unir come fratelli (e sorelle)
su quella sola via
che inizia, ma che non ha mai fine
per riscoprir la luce
che però c’è già.