Esiste una qualità sottile che la meditazione può rivelare, una leggerezza che nulla ha a che fare con l’evasione ma tutto con l’aderenza pura all’istante presente. Quella “pressoché totale inutilità” di cui parla il testo non è fallimento, ma il segno distintivo di un approccio autentico: la capacità di abbandonarsi all’esperienza senza il filtro del giudizio. Mentre il mondo continua a correre tra obblighi e rabbie, la pratica meditativa apre spazi inattesi – quel “cantuccio di coscienza che sorride” indifferente al sole o al gelo. Non si tratta di raggiungere chissà quale vetta spirituale, ma di riconoscere che la vera levità sorge proprio quando smettiamo di cercarla, quando ci accorgiamo che la gioia di vivere non dipende dalle circostanze ma dallo sguardo con cui le accogliamo. Un paradosso semplice come il respiro che si distende, immediato come l’adesso che sfugge a ogni definizione.
La meditazione ti consente di raggiungere una certa levità di spirito, ma per riuscirci devi incamminarti sul sentiero più adatto, più confacente alla tua attuale sensibilità. Purtroppo non è così semplice individuarlo, se lo fosse … la società sarebbe attraversata da fiumi di gioia, la fame si placherebbe con semi di felicità, la sete si spegnerebbe con gocce di speranza. Quali sono le chiavi della trasformazione? Rilassa il respiro, distenditi, calmati e rinuncia a pensare. Se dovessi sintetizzare con una super-formula la prassi meditativa direi:
Mentre tutt’intorno dorme o tace
medita sull’imponderabile silenzio
di ciò che accade o non accade
qui, ora, praticamente adesso.
Levità
Il lato comico della mia meditazione
è la riluttanza ad ammetterne
la pressoché totale inutilità.
Non è vero, sto mentendo,
non sono stato mai così a mio agio.
Sia che piova, faccia freddo, poi si geli
o Elios picchi giù come un dannato
c’è sempre un cantuccio
della mia coscienza che sorride.
Ecco il travet
che sogghigna giulivo,
mi ha affibbiato una sfilza d’adempimenti.
Ma io me ne burlo,
mi metto in fila e medito
sulla falsa riga di chi gioisce
solo perché vive.
Mentre lui cuoce dalla rabbia
che discende dall’odio
di non comprender
donde accidenti sorga
tutta questa bella levità.
Epilogo
Alla fine, ciò che conta non è la tecnica perfetta né la disciplina ferrea, ma quell’istante in cui ci sorprendiamo a ridere delle nostre stesse pretese. La meditazione non ci rende immuni alla vita con i suoi obblighi e contrattempi, ma ci offre un punto d’appoggio interiore – quel sorriso segreto che persiste mentre “il travet” si agita. Forse il vero miracolo è proprio questo: scoprire che la pace non va costruita, ma semplicemente riconosciuta, già presente sotto il tumulto dei pensieri. Come la luce che filtra tra le nuvole senza esserne macchiata, la nostra essenza più autentica sa gioire senza motivo, semplicemente perché esiste, qui e ora, in perfetta, misteriosa, inutile bellezza.