Nella meditazione, così come nella vita, non esistono ricette precompilate. La meditazione è un’avventura, un viaggio senza fine verso l’ignoto che richiede, innanzitutto, coraggio. Alcuni credono che la sua meta sia l’inconoscibile, invece si tratta di un viaggio che dalla vita riconduce alla vita.
Sopravvivenza
Gautama Siddharta, detto il Buddha, avvisò chiaramente i suoi discepoli sui pericoli delle convinzioni idolatriche, di ogni devozione basata sul sentimento, della tendenza ad adorare deità antropomorfe o maestri umani deificati. D’altra parte la meditazione richiede – almeno inizialmente – la capacità e il coraggio di vivere la propria vita spirituale in solitudine. La pratica religiosa rivolta alla celebrazione o alla commemorazione di una ricorrenza dev’essere un evento gioioso fondato sul rispetto, la deferenza, la riconoscenza e non sul ritualismo esoterico o sul sentimentalismo irrazionale.
Le false religioni si basano tutte, tanto sull’ambiguità del dualismo, come ad esempio la contrapposizione psicologica tra bene e male, quanto sull’esaltazione dei fattori emotivi. Tuttavia il contrappunto dell’emotività non è il calcolo freddo e anonimo della razionalità, bensì la pura e semplice percezione della nostra interiorità, della nostra anima. Ma cos’è l’interiorità, cosa significa anima?
La mente intesa come entità separata non esiste. Essa non è un elemento statico, anche quando sembra inattiva o immobile in realtà e in condizioni ordinarie è operosa, dinamica, calcolatrice e sognatrice. Sembrerebbe quasi avere una vita propria. Ma tale parvenza di autonomia dipende essenzialmente dal fatto che in genere siamo divisi e frammentari, non siamo pienamente consapevoli della mente nel suo complesso, di tutti i suoi aspetti, di noi stessi. In tal senso, la mente, è determinata solo e unicamente dal flusso, pressoché costante, dei pensieri. Quando la mente si calma e i pensieri si dileguano subentra la percezione della nostra interiorità, dell’anima. Ciò nondimeno, nonostante le apparenze, dentro di noi non c’è nulla, non vi è un’anima che attende pietosamente di esser liberata e non esiste nessuna differenza o distanza tra se stessi ed il proprio io interiore! Quello, il nostro io interiore, è solo un ambito esistenziale.
Quando la fiamma della coscienza individuale si estinguerà continueremo ad esistere? Ciascuno suppone di si, per lo meno se lo augura. Ci piace credere che il nucleo essenziale della nostra personalità sia permanente, indistruttibile? Va bene, tuttavia esso non è il sé, non l’anima e non la mente così come comunemente s’intendono. Potremmo dire, ma solo per comprenderci meglio, che esso è come un’idea. Le idee non sono fenomeni fittizi. Se condivise diventano reali. La nostra interiorità è un’aggregazione di elementi eterogenei comparabili a idee o pensieri.
L’impermanenza degli aggregati fisici è ben nota. D’altra parte non avrebbe senso supporre altrimenti per quelli psichici. Sembrerebbe che la dissoluzione sia inevitabile e invece ecco un soccorso imprevisto.
Di che si tratta? Definiamo con maggior chiarezza gli obbiettivi che stiamo cercando di perseguire. La ricerca della verità, la consapevolezza della nostra natura essenziale, di “ciò che è” la vita, dei suoi aspetti più intimi come dei risvolti estroversi. Siffatta comprensione è un processo, taluni lo definiscono evento, che genera in primo luogo una netta sensazione di condivisione.
La separazione psicologica convenzionale tra il nostro io e quello di tutti gli altri e persino degli oggetti che ci circondano diventa sempre più flebile, ogni discriminazione irrisoria. Via via che le distinzioni decadono, da quelle ceneri ri-nasce un individuo nuovo. La definizione individuo sarà ora solo formale. Dietro l’apparenza della persona rivivrà il suo nucleo essenziale, le cui origini sono nel tutto, dal tutto stesso discendono e dipendono, nel tutto si completano e con esso, sicuramente, coincidono.
Quando la sensazione di individualità diverrà meno circoscritta, espandendosi sino a comprendere via via famiglia, amici e nemici, società, ogni forma di vita, allora diverrà impossibile concepire la propria fine. Ciò che si estinguerà saranno le radici della sofferenza, ovvero l’ego e le sue personalità inappropriate, le espressioni di circostanza, le simulazioni ipocrite, le imitazioni provvisorie, le apparenze fittizie. Quelle maschere che si sovrappongono le une alle altre sino a oscurare il volto originale, a renderlo impenetrabile ad ogni sorgente di vita, alla luce. Se la morte sarà impossibile, la vita, nelle sue innumerevoli e ridondanti manifestazioni avrà una sola possibilità, rigenerarsi per divenire eterna.
Sopravviveremo a noi stessi? Si, ma solo se la propria consapevolezza si estenderà oltre la coscienza delle limitazioni individuali relative al corpo fisico o all’io psicologico per includere le innumerevoli manifestazioni dell’esistenza sino a riconoscere ed accettare l’ineffabile e inequivocabile energia che tutto sottende. Il mio insegnante di meditazione riteneva assurdo concepire le anime, come entità indipendenti e separate.
Le anime sono essenzialmente fenomeni di consapevolezza. Noi non siamo esseri limitati, bensì parti organiche del tutto, componenti dell’insieme. Tuttavia la dissoluzione dell’aggregato fisico non comporterà, subito e necessariamente, il dissolvimento dell’insieme psichico.
I frammenti della nostra attuale personalità, come le idee, non si disperderanno vanamente. Essi saranno recepiti in un’altra forma-pensiero. Ciò non implica l’esistenza di una pseudo-entità definita anima che si recherà di qua o di là secondo criteri prestabiliti, o proseguirà una propria vita autonoma e indipendente. Affermarlo, così come sostengono taluni culti religiosi, sarebbe una supposizione priva di riscontri oggettivi. Semmai accadrà che una parte o tutti gli elementi psichici costituenti una determinata persona forniranno l’imput per un altro essere vivente il quale proseguirà così, e indubbiamente, la vita del suo predecessore.
Quando non vi sarà più ego il nostro piccolo sé (anima, atman), coinciderà con il Sé universale (Brahman). Alla fin fine persisterà unicamente la consapevolezza, che da parziale e contingente diverrà globale, assoluta e illimitata. I nostri pochi e umili pensieri avranno ben poca importanza allorquando diverremo consapevoli dei pensieri di tutti gli esseri viventi. E l’individualità avrà un valore relativo, giacché sarà impossibile stabilirne limiti o confini.
Indicazioni utili
Anche questa volta rispetteremo la nostra modesta consuetudine. Suggeriremo un’indicazione utile. Una volta fui redarguito per l’insofferenza dimostrata nell’affrontare degli eventi imprevisti. Il mio maestro mi suggerì di avere pazienza.
L’esercizio della pazienza non dev’essere un atteggiamento passivo o indolente, ma costruttivo. Avere pazienza non significa reprimersi, ma adoperarsi concretamente per superare l’impasse che genera nervosismo o insofferenza. Colui che si applica al proprio esercizio di meditazione con una tranquilla e coraggiosa determinazione iniziale vedrà ben presto schiudersi la porta mentale che conduce alla calma e che suscita, invariabilmente, tolleranza, equanimità, compassione. Non appena raggiunto uno stato, anche relativo, di calma, avvalendosi delle medesime parole che la tradizione attribuisce al Buddha: la vostra meditazione sia come l’acqua; lasciate che tutti i pensieri e le impressioni che avete nella mente scivolino via come l’acqua.
Epilogo
Sembrerebbe banale. Chissà quante volte abbiamo letto o sentito affermazioni simili. Ora, però, c’è una differenza. È giunto il momento di mettere in pratica tutti i nostri buoni propositi. Non c’è un istante da perdere. Oppure, ed è lo stesso, c’è tutto il tempo di questo mondo, tanto quanto ci piacerà attendere o impiegarne, una vera eternità …