Fermati un attimo. Chiudi gli occhi e osserva. Lo vedi ch’è una vita che ti arrabatti, ti barcameni per sbarcare il lunario e far quadrare i conti, per curarti e guarire, per divenir qualcuno, per un’assurda manciata di misero prestigio, quindi per risalir la china, dopodiché inevitabilmente discendere? Lo vedi ch’è una vita che gioisci e poi piangi, che conquisti e riparti, che tutto sommato sopravvivi, ma non potrai evitare, comunque, il capolinea?
Cos’è, puro delirio, o il più becero dei pessimismi possibili? E se non fosse, invece, vero e proprio realismo? Cos’è, infine, che rimane dopo tutto questo tran-tran di ricorrenti alti e bassi, di felicità, tristezze, di stranezze, straordinari quanto inverosimili istanti di pace, fulminei momenti di sconforto, di resa … che cedono, comunque, il passo a repentine realizzazioni di gioia?
Già, la speranza! Tu l’ascolti o l’ignori, ma ti lascia, infine, senza nulla di concreto. Ebbene, resta lì, fermo, impassibile. Ed ecco l’impulso a meditare, il solo che ti aiuti a sopravvivere tra i rimasugli pressoché dissolti delle tue ultime, residue illusioni, fintantoché la luce non rispunti d’improvviso e senza che l’avessi più tantomeno cercata. Te l’immagini? Io e te, due sbiaditi figuri che menano da sempre il can per l’aia, alla ricerca di una risposta che non c’è.
Riecco, ci risiamo. Quand’è che troverò il mio punto fermo, il fulgore che dissolve ciò ch’è vago, l’indistinto? Rimani con la mente naturale: è un bel che dire, ma solo dopo esserti inoltrato nei meandri del respiro, della calma, nei risvolti della pace, del silenzio, al cospetto di quel raggio che ti fende … per poi dare il benservito ad ogni ombra.
Prima o poi ti renderai finalmente conto che la meditazione è un che di essenziale, una non-prassi irrinunciabile. Ti accorgerai che la meditazione è il vero contraltare di qualunque attivismo. Ciò che lo bilancia. Quindi lo rilancia … verso le vette. Quali vette, quali apici, quali cime? Forse te stesso che leggi.