L’insegnamento del Buddha – a differenza di altre dottrine pseudo-spirituali che tentano di avvicinare l’uomo a uno specifico ideale metafisico che idealizza l’insieme facendo da contraltare alla realtà nuda e cruda – si basa su “ciò che è” la vita così come si percepisce con una mente chiara, limpida, scevra da pregiudizi pregressi, nozioni artefatte e, finanche, opportunistiche. La tragedia dell’esistenza è l’eccessivo protagonismo dell’io che pretende di essere sempre e comunque al centro della vita mentre, di fatto, è solo un semplice e opportunistico ingranaggio di una realtà molto più vasta e variegata… ma leggiamo, direttamente, Daisetz Teitaro Suzuki.
“Il sistema del Buddha lo si può chiamare un empirismo radicale. Con ciò voglio dire che egli prese la vita e il mondo quali sono, senza darvi una propria interpretazione. […] Spiritualmente si può concepire uno stato di libertà perfetta conseguito col cessare di assumere la vita in funzione dei nostri pensieri egocentrici e con l’accettare il mondo così come esso è, allo stesso modo che uno specchio riflette un fiore come fiore, e la luna come luna. […]
Senza un animo sereno, puro e saldo la verità non può essere colta così come è. […] «Egli conosce come realmente è, egli conosce secondo verità» – ti yathā-bhūtham pajānāti: ecco ciò a cui si deve giungere, perché yathābhūta-ñāna-dassana è la visione che uccide la mania e desta la coscienza dell’emancipazione spirituale. […] Senza questa visione, non sarebbe possibile il distacco, la libertà buddhista […]. Il «così conoscendo, così vedendo» non significa una comprensione intellettuale di fatti o verità che cadono di là dai limiti della propria esperienza, ma la percezione di mutamenti effettivamente avvenuti in se stessi. […] Solo dopo la distruzione delle manie […] l’essere interiore si purifica e si vede quale veramente è […]. Ciò che viene distrutto è il dualismo delle cose […]. Una mente abbastanza esercitata può riconoscere che né la negazione (niratta) né l’affermazione (atta) si applicano alla realtà, la quale va afferrata direttamente, come essa è o, meglio, come essa diviene. […] L’ultimo paragone del discorso del Buddha sui frutti della vita ascetica, che sintetizza la realizzazione spirituale dei buddhisti, diviene ora completamente intelligibile: «Così come quasi, voi monaci, sulla sponda di un lago alpino, di acqua chiara, trasparente, pura, stesse un uomo di buona vista e guardasse delle conchiglie e chiocciole, sulla ghiaia e la sabbia e i pesci, come guizzano e stanno; allora gli verrebbe il pensiero: ‘Chiaro è questo lago alpino, trasparente, puro; io vedo le conchiglie e chiocciole, la ghiaia e la sabbia e i pesci, che nuotano o riposano’ – or così anche appunto, voi monaci, il monaco comprende conforme a verità». […] Si può ricordare come Buddha nell’Itivuttaka si paragoni ad uno spettatore seduto su di una riva. […] Nel Mahāli Sutta il Buddha dice: «Quando un monaco così vede e così conosce, andrà egli ancora a chiedersi se l’anima è la stessa cosa del corpo o se l’anima e il corpo sono due cose distinte?». […] Finché sussiste una qualche traccia di attaccamento esterno od interno si mantiene il substrato dell’egoità, destinato a suscitare una nuova forza del karma e a trascinarsi nell’eterno ciclo del nascere e del morire. Ogni attaccamento è una forma di ossessione, di illusione o di vana immaginazione. I testi canonici menzionano nove forme di illusioni nate dalla vanità dell’Io, alimentando da false speculazioni sull’Io e confermanti, in un modo o nell’altro, l’attaccamento. È il pensare: «Io sono», «Io sono questo», «Io sarò», «Io non sarò», «Io sarò con una forma», «Io sarò senza una forma», «Io sarò con la coscienza», «Io sarò senza una coscienza», «Io sarò né con coscienza né senza coscienza». Per conseguire lo scopo finale della vita buddhista bisogna sbarazzarsi di tutti questi pensieri, nati dalla mania dell’Io. Una volta eliminati, cesseremo di tormentarci, di nutrire odio, di affannarci, di soggiacere alla paura – subentrerà la calma, il nirvana, la visione della realtà e della verità delle cose. Una volta che pañña [saggezza] si sia ridestata, si abbandona la moralità, si lascia dietro di sé la meditazione, resta soltanto uno stato illuminato della coscienza permanendo nel quale lo spirito si muove come a lui piace. […] Vedere le cose «conforme a realtà» – yathā-bhūtam – equivale a raggiungere la perfetta libertà spirituale. […] Questi due fatti, vedere ed essere liberati, sono interdipendenti.”
(Da: D. T. Suzuki, Saggi sul Buddismo Zen)
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– D. T. Suzuki (macrolibrarsi)
– Daisetsu Teitarō Suzuki – Wikipedia