La meditazione è una pratica che aiuta a calmare la mente, a concentrarci sul presente e a sviluppare la consapevolezza. Esistono diverse tecniche di meditazione, alcune basate sulla riflessione, altre sulla recettività, altre ancora sulla visualizzazione. Ognuna di queste tecniche ha dei benefici per il nostro benessere psicofisico, come la riduzione dello stress, l’aumento della felicità, il miglioramento delle relazioni e la crescita personale. Con questi appunti, voglio condividere con voi talune esperienze di meditazione, come l’autore ha iniziato a praticarla, quali sono le sfide che incontrò e quali furono i risultati conseguiti. Spero che il racconto di Lawrence Pintak possa ispirarvi a provare la meditazione o a continuare a praticarla con costanza e dedizione. La meditazione è un viaggio meraviglioso, che ci porta a scoprire noi stessi e il mondo in modo più profondo e autentico.
Alcuni anni fa mi interessai di meditazione come sostegno collaterale per superare un periodo di stress. Il seguente articolo mi aiutò molto.
La cura è la meditazione: l’esperienza di Jon Kabat-Zinn (di Lawrence Pintak)
«Dal centro più decaduto e povero della città alla suite di lusso, negli ospedali e nelle prigioni, i corsi del dott. Jon Kabat-Zinn aiutano migliaia di persone malate di stress, di rabbia o tossicodipendenti.
John Coolidge era rimasto solo con la sua mente. Paralizzato e sordo a causa di una malattia del sistema nervoso, gli occhi di Coolidge erano il suo unico collegamento col mondo. E ora, per proteggerli, i dottori avevano prescritto che venissero coperti ogni notte con una garza.
Veniva lasciato in completo isolamento, impossibilitato a sentire, impossibilitato a muoversi, a udire, a vedere, impossibilitato anche a respirare senza l’aiuto del respiratore che lo manteneva in vita. Ora ricordando la sua esperienza, Coolidge dice: “La cosa bella era che la mia mente funzionava bene. La cosa brutta era che la mia mente funzionava bene”.
Durante le lunghe ore della notte, Coolidge giaceva sveglio e solo, troppo terrorizzato per dormire. Per un altro sarebbe stato come prescrivergli il panico. Ma John Coolidge sapeva come trovare rifugio nell’unica sensazione fisica che gli era rimasta, il respiro.
“Mi era stata insegnata una tecnica di meditazione in cui osservi il respiro: entra l’aria pulita, esce quella impura. Il respiratore muoveva il mio torace su e giù, ed era l’unica cosa solida che mi fosse rimasta”, ricorda. A Coolidge la semplice azione di concentrare la consapevolezza sul flusso dell’aria nel suo corpo fornì l’àncora che gli permise di mantenere la mente sotto controllo.
Consapevolezza, concentrazione e controllo: è il mantra di un movimento che oggi aiuta migliaia di americani che si trovano ad affrontare dolore e stress emotivi che, come è confermato anche dalla scienza medica, contribuiscono alla malattia. Le fondamenta di questo movimento sono state create vent’anni fa da un microbiologo convinto che la scienza non finisse alla porta del laboratorio. Interessatosi a fondo da studente alle arti marziali, allo yoga e alla meditazione Zen, il dott. Jon Kabat-Zinn si rese conto che c’è molto in comune tra gli yogi buddhisti e i ricercatori occidentali.
“Entrambi investigano la natura della realtà, la natura della mente, la natura dell’essere umano” dice Kabat-Zinn “e non vedevo una grande differenza tra i due modi di investigare”.
Kabat-Zinn prese un anno sabbatico dalla medicina per guidare il centro Zen di Cambridge, e più la sua meditazione andava approfondendosi, più si convinceva del ruolo cruciale della meditazione nel processo di guarigione. Il punto era provarlo.
“Si trattava di qualcosa di estremamente potente, che nessuno si impegnava ad esaminare da un punto di vista scientifico”, dice Kabat-Zinn, un uomo massiccio con la faccia da lottatore di strada di Brooklyn. “Ma poi venni a sapere che la ricerca veniva da anni portata avanti dai meditanti e dagli yogi”.
Nel libro di grande successo Full Catastrophe Living, (Meditazione come terapia) Kabat-Zinn ha descritto con precisione e autorevolezza come usare la mente per aiutare il corpo a guarire. “È stato uno dei primi a ispirarsi alle discipline orientali e a misurarne i risultati da una prospettiva clinica”, spiega Garret Sarley, direttore esecutivo dell’Omega Institute di Rhinebeck, New York, uno degli stati in cui sono sorti centri per seminari e ritiri sul funzionamento del corpo-mente. “A un medico per uscire allo scoperto e creare quel sentiero occorreva molto coraggio”.
La consapevolezza del respiro è il cuore della specificità della medicina del corpo-mente di Kabat-Zinn. “La presenza mentale è un modo di vivere la propria vita e di non perdere niente della propria esperienza” afferma, seduto nel suo ufficio del Center for Mindfulness in Medicine, Health Care and Society all’UMass Medical Center di Worcester. “Questo genere di pratiche, come lo yoga consapevole e la meditazione, creano dei risultati sul corpo in direzione di una maggiore salute e benessere”.
Nei vent’anni passati dalla fondazione del Mindfulness Center di Kabat-Zinn, più di diecimila pazienti, per la maggior parte mandati da medici o da altri professionisti della salute, si sono sottoposti al suo “programma di riduzione dello stress”. E molti di più hanno partecipato ai corsi nelle oltre duecento quaranta cliniche per la riduzione dello stress del corpo-mente, che sono sorte in tutto il mondo sul modello di Kabat-Zinn. Tra i partecipanti dei corsi che soffrono di svariate malattie croniche e di problemi medici è frequente un’altissima riduzione dei sintomi fisici ed emotivi, come pure un’accresciuta capacità di trattare il dolore e lo stress.
Fu in uno di questi programmi di otto settimane che John Coolidge imparò a osservare il respiro, tre anni prima dell’incidente d’auto in cui il suo bacino restò schiacciato e innescò l’inizio della sindrome di Guillain-Barre, un disturbo connesso al trauma che causa una paralisi attaccando il rivestimento dei nervi.
“Mi sentivo come se stessi morendo a stadi”, ricorda Coolidge, poco dopo essere stato dimesso da sei mesi di ospedale. “Per tutto il tempo non feci che meditare a modo mio. I miei parenti vedevano letteralmente diminuire il ritmo del mio cuore e del mio respiro sui monitor. Si poteva letteralmente vedere il rilassamento elettronicamente”.
Prima che il suo travaglio finisse, Coolidge dovette usare le tecniche per qualcosa di ben più grave che un semplice controllo dello stress. Quando la sensibilità lentamente cominciò a tornare negli arti, le iniezioni lombari, i test in cui degli aghi caricati elettricamente venivano inseriti nei nervi per rilevarne il ricupero, divennero sempre più dolorose.
“Era come restare agganciato per un’ora a un recinto elettrificato” ricorda con un fremito. Ancora una volta, Coolidge ricorse alla meditazione sul respiro. “Mi fu di enorme aiuto per controbilanciare il dolore, di cui rimani consapevole, senza per questo perdere il controllo del pensiero. Il dolore o la paura non devono diventare dominanti.
Questo non significa che scompaiano, ma non devono necessariamente esserci solo loro”.
Sarebbe sopravvissuto Coolidge, se non avesse seguito il programma di Kabat-Zinn? Probabilmente, ma egli ha il sospetto che l’esperienza sarebbe stata molto più dolorosa. “La meditazione mi permise di concentrare la battaglia che avveniva in me su zone più produttive,” spiega: “potevo combattere la malattia, la paralisi, la polmonite e non lottare mai contro le circostanze, non perdendo tempo ad arrabbiarmi”.
“Ho visto molti partecipanti del corso diventare più intuitivi, più capaci di trattare i loro sintomi e talvolta avere effettivamente meno sintomi” conferma il dott. John K. Zawacki, un gastroenterologo dell’UMass che ha indirizzato al programma molti pazienti.
Documentare questi cambiamenti è stato uno dei primi obiettivi del Mindfulness Center. “Quello che il gruppo ha fatto, e a cui va un plauso, è di aver preso sul serio la necessità di fare studi a largo raggio ben fatti”, dice David Larsen del National Institute for Healthcare Research con base a Washington, che ha aiutato a creare corsi di spiritualità in quasi sessanta scuole mediche. “È davvero riuscito a cambiare la situazione, tanto che ora puoi perfino trovare delle compagnie di assicurazione che sovvenzionano imprese di questo genere. È un modello per tutti noi”.
Kabat-Zinn e il suo gruppo hanno pubblicato sui maggiori giornali medici più di una dozzina di studi dettagliati sugli effetti della meditazione di consapevolezza. Dice Kabat-Zinn: “Se non si fa un resoconto scritto di queste esperienze nella letteratura medica, in modo scientificamente valido e che sia riproponibile in ambiti diversi, ci si limiterà a dire: ‘Ho sentito dire che fanno grandi cose all’UMass Medical Center,’ senza nessun tentativo di approfondire”.
Complessivamente, documentati studi clinici condotti dal Centro hanno verificato una riduzione dei sintomi dal 29% al 46% tra i partecipanti ai corsi. Classificandoli per genere di disagio, le persone con malattie di cuore sperimentano una riduzione dei sintomi del 45%; per la pressione alta si verifica un 43% di riduzione del sintomo; per il dolore 25%; e per lo stress 31%. Questo è il genere di cifre che attrae l’attenzione degli addetti alla salute che cercano di contenere i costi. Le compagnie di assicurazione ora si assumono almeno in parte le spese di circa un quarto dei partecipanti al programma.
I partecipanti ai corsi di riduzione dello stress non si limitano a sedersi e a osservare il respiro. Vengono loro insegnati semplici movimenti yoga e viene presentata una tecnica di “esplorazione del corpo”, ripresa dalla meditazione Vipassana, in cui vengono guidati su diverse parti anatomiche, spostando il fuoco della consapevolezza.
L’essenziale di tutto il percorso è “essere presenti nel proprio corpo”, come costantemente ricordano gli istruttori agli studenti, allo scopo di “vedere ciò che accade con più chiarezza e più direttamente” e quindi consciamente “controllare ciò che è controllabile e lasciar andare il resto”.
“La maggior parte delle persone non ascolta affatto il corpo” afferma un medico iscritto a un corso di recente. “Sono così indaffarati e presi da quello che fanno che non pensano a quello che il corpo gli dice che dovrebbero o non dovrebbero fare”.
Ad ogni studente del corso, che si svolge tre ore a settimana per otto settimane, viene assegnata una serie di audiocassette con meditazioni guidate e si viene invitati a fare almeno quarantacinque minuti di pratica ogni sera.
I corsi nei quartieri poveri del centro città sono gratuiti per coloro che non hanno assicurazione e non possono permettersi di pagare, e sono la maggioranza. Sono inviati dalle cliniche, dai gruppi di sostegno e dai ricoveri della città. I trasporti gratuiti e la custodia dei bambini incoraggiano la partecipazione. Gli istruttori fanno telefonate frequenti e continuative a quelli che mancano ai corsi, che vengono tenuti anche in spagnolo.
“Possiamo usare la meditazione per essere presenti alla situazione che viviamo e usare la consapevolezza per spezzare le nostre catene”, spiega l’istruttrice Melissa Blacker, una psicologa che prima di far parte del Mindfulness Center svolgeva attività di sostegno per il lutto.
Ma ci si riesce? C’è un punto in cui il peso da portare è troppo gravoso? Chiarisce Kabat-Zinn: “In otto settimane non pretendiamo che le persone arrivino fino in fondo a qualcosa. Ma gran parte del nostro lavoro consiste nel piantare semi. Anche se abbandoni il corso, ma hai sentito dire da qualcuno: ‘Ho fatto la tal cosa e il dolore è sparito’ oppure: ‘Ho risposto in modo positivo a una situazione molto difficile’, questo può cambiarti la vita”.
Un programma di addestramento alla consapevolezza, della durata di quattro anni, che Kabat-Zinn e il suo gruppo svolgono nell’istituzione carceraria del Massachusetts ha portato a rilevanti diminuzioni del livello di ostilità e di confusione tra i detenuti che partecipavano al corso, questo finché il finanziamento non fu tolto nel bel mezzo della campagna elettorale dello stato nel 1996.
“Lo Stato ha speso un sacco di soldi per lo yoga ai carcerati” recitava il titolo di testa del Boston Herald che ha affondato il programma.
Il giornale riportò: “Uno studio ha dimostrato che il programma in pratica non valeva niente”. Kabat-Zinn ricorda tristemente: “Non abbiamo potuto rispondere, perché allora non avevamo ancora proceduto a un’elaborazione dei dati”. La risposta dettagliata sarà presto pubblicata su uno dei maggiori giornali di giustizia criminale. Sulla base di mille prigionieri che hanno preso parte al corso, il gruppo di lavoro ha documentato un aumento del 38% nell’autostima e un 9% di caduta dell’ostilità tra le donne, e un 28% di aumento dell’autostima e una diminuzione del 7% dell’ostilità tra gli uomini.
“La conseguenza più importante è che, se sei meno ostile, è meno probabile che tu ti sfoghi sugli altri”, spiega con entusiasmo Kabat-Zinn “e, se hai più fiducia in te stesso, può essere più probabile che tu trovi un lavoro anziché rubare e drogarti, il che alla fine si traduce in una riduzione della percentuale di recidività”.
Seduto nel suo ufficio all’ospedale, decorato con diplomi medici e mandala, Kabat-Zinn, con lo sguardo sul cuscino di meditazione, riflette sui vent’anni dedicati alla medicina del corpo-mente: “Crea una sorta di sobria eccitazione pensare che questi due diversi mondi si siano incontrati. Ancora non è stato scritto il libro su quanto in definitiva è possibile fare”.
La meditazione di consapevolezza ha le sue radici in un’antica tradizione probabilmente estranea alla maggior parte degli americani, ma quello che hanno fatto Kabat-Zinn e altri come lui è di ricondurla a un’essenza comprensibile a tutti. “È il cuore delle pratiche meditative buddhiste, il cuore delle pratiche Sufi, il cuore di tutte le pratiche spirituali”, afferma. “Facciamo riferimento a qualcosa che vive nel cuore, non da qualche parte nella storia”.
È Buddhismo o come pretendono alcuni critici un ennesimo esempio di Buddhismo diluito? “Non stiamo cercando di formare buddhisti”, insiste Kabat-Zinn, i cui istruttori vengono da background che includono il Buddhismo, come il Sufismo, lo Yoga e la Teosofia. “Cerchiamo di cogliere la fondamentale legge universale che proviene dalla tradizione buddhista e di vedere se sia valida nelle nostre vite di normali americani, che non sono interessati a diventare qualcosa d’altro, ma che possono essere molto interessati a diventare chi realmente sono”.
Il che significa, dice, che i suoi clienti arrivano con una serie di aspettative molto diverse. “Nessuno di loro arriva con il bagaglio che le persone spesso portano con sé a un centro di meditazione, del tipo: ‘Mi illuminerò’ o ‘Mi siederò ai piedi del guru’. La gente viene a causa della sua sofferenza, più semplice di così!”.
Kabat-Zinn lo chiama Dharma americano: “Ho sempre pensato che stia arrivando il momento di fare delle pratiche buddhiste qualcosa che rientri nel senso comune e che faccia parte del repertorio americano, di modo che non siano considerate pratiche straniere, né asiatiche, ma americane”.
“Jon è un ottimo esempio di persona che lavora duramente per essere traduttore, nel vero senso del termine, senza annacquare l’insegnamento”, afferma Sharon Salzberg, co-fondatrice dell’Insight Meditation Society. “Qualcuno può sentirsi attratto dall’insegnamento buddhista per risolvere un problema di mal di testa, per poi scoprire altre cose di sé, della capacità della sua mente o della sua abilità di provare compassione. Può essere più trasformante di quanto abbia mai immaginato, ma il contatto iniziale ha avuto a che fare con la salute”.
E anche se alcuni studenti continuano a dedicarsi a studi più avanzati delle pratiche buddhiste, è un fatto che per molti gli insegnamenti vengono ridotti all’essenziale, il che li rende più preziosi.
“È meraviglioso avere una pratica, sedere su un cuscino, e ricavarne tutto quanto ti è possibile”, osserva Friedman, un altissimo dirigente aziendale. “Ma per me il vero pregio sta nell’integrare tutto questo nella vita quotidiana”.
“Mi entusiasma il fatto che il respiro sia qualcosa che sta sempre con me”, conviene Janet, una casalinga del Massachusetts. “Che io non abbia bisogno di una borsa in più per portarlo, che non abbia bisogno di pagare, né di chiedere qualcosa a qualcuno per respirare. È uno strumento che ho qui con me e a cui posso fare ricorso ogni qual volta ne abbia bisogno”.
John Coolidge, il cui respiro l’ha aiutato a sopravvivere all’isolamento della paralisi, può testimoniarlo.»
Lawrence Pintak è un giornalista che si occupa di tematiche riguardanti le relazioni tra corpo, mente e spirito. Lo ringraziamo vivamente per aver consentito la traduzione di questo suo articolo apparso su: Shambala Sun, settembre 1999.
(Traduzione di Chandravimala Candiani)
– Jon Kabat-Zinn (amazon)
– Jon Kabat-Zinn (macrolibrarsi)
– Jon Kabat-Zinn – Wikipedia
– Mindfulness – Wikipedia
– Da: Reteindra.org