Quando discutiamo di sentieri e relativi percorsi per centrare un determinato – seppur sfuggente e a tratti solo ipotetico – culmine esistenziale, pensiamo subito a un tragitto lineare. Ciò che dimentichiamo è che la meta non è, in realtà, affatto diversa da quanto accade “qui e ora”, al momento, in ogni istante della propria incommensurabile quanto evanescente vita. La meta non è un’istanza indipendente. Il vero obiettivo sarà, soprattutto, il cosiddetto “presente”. L’iter che ciascuno segue è di fatto circolare per il semplice motivo che meta e fine coincidono sempre. Dall’apice dell’eternità alla valle della consuetudine non v’è, in concreto, alcun lasso di tempo. Leggiamo, ora, una breve dissertazione in merito alla circolarità della vita di Joseph Goldstein. …
«Mentre percorriamo il sentiero della consapevolezza, accresciamo la fede e la fiducia in un più ampio schiudersi del nostro viaggio esistenziale, un viaggio che non avviene nel tempo e nello spazio, ma che segue il percorso della conoscenza interiore. Sperimentiamo le crescenti possibilità di risveglio. Siamo realmente sempre più svegli, e questo ci dà la misura del sentiero, l’esperienza di aver imboccato una direzione piena di significato. La combinazione potente di sentiero e presenza, l’essere radicati nell’esperienza del momento presente anche mentre navighiamo verso una libertà più completa, ci offre un quadro importante per comprendere la vita.
Oggi, in Occidente, l’idea di avere una meta nella pratica spirituale è oggetto di critica. Si dà per scontato che siano importanti il qui e l’ora, e che non si debba pensare né accennare alla destinazione. Benché sia stata un’azione correttiva nei confronti delle lotte dell’io ambizioso e della mente misuratrice, giudicante, ci ha fatto tuttavia perdere qualcosa di immensamente prezioso. Spesso è l’indizio dell’esistenza di una meta a ispirare ardore e passione. Ne “Il monte analogo”, René Daumal scrive, a proposito dell’ascensione in montagna: “Tieni lo sguardo fisso sulla via della cima, ma non dimenticare di guardare ai tuoi piedi. L’ultimo passo dipende dal primo. Non credere d’essere arrivato solo perché scorgi la cima. Sorveglia i tuoi piedi, assicura il tuo prossimo passo, ma che questo non ti distragga dal fine più alto. Il primo passo dipende dall’ultimo”. È la visione della cima a ispirare il viaggio. Perdere la visione, la sensazione della possibilità, significa restringere il panorama e limitare lo sforzo.
Non c’è contraddizione tra rimanere nel momento presente e conservare il senso di star percorrendo un sentiero o di avere una meta. Osserviamo la presenza di entrambi gli elementi in ogni attività ordinaria. Quando vi alzate dopo essere stati seduti, dove andate? Avete un obiettivo, uno scopo. La potenza straordinaria dell’intenzione, che guida verso destinazioni non soltanto fisiche, ma anche karmiche e, a dire il vero, verso il conseguimento della buddhità, è evidente.
È nel viaggio che porta alla comprensione di sé che assume un significato la circolarità della vita. Ci alziamo ogni mattina, facciamo colazione, andiamo al lavoro, torniamo a casa, ce la spassiamo, magari meditiamo, ceniamo, ci rilassiamo un po’, andiamo a dormire, ci svegliamo… e il cerchio ricomincia. Pensate alla massa umana e alle forme di vita in perenne crescita su questo piccolo pianeta. Un piccolo pianeta che ruota attorno a un sole di medie dimensioni, in una galassia tra centinaia di miliardi di galassie.
Che cosa significa per la nostra vita questa immensità? Le nostre vite sono dirette da qualche parte? Se la fede nel processo di espansione della saggezza è intensa, ogni aspetto della vita entra a far parte di un contesto che ha significato. Possiamo domandarci in ogni situazione, in ogni momento: “Siamo attenti al momento che stiamo vivendo? Siamo presenti o no? C’è sofferenza? Qual è la sua causa e qual è la sua cessazione?”. Non sono pure speculazioni. Sono il nucleo della pratica, il significato della vita.»
(Da: Joseph Goldstein, “Un solo dharma. Il crogiolo del nuovo buddhismo“)
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