Bankei, l’antico maestro zen di cui tratta Alan Watts, interpretò l’insegnamento tradizionale della sua epoca in modo senz’altro originale. Tanto per cominciare, Bankei sfrondava l’immaginazione da ogni pregiudizio, da ogni idea preconcetta, con una semplicità deduttiva impressionante, tale da non lasciar adito a dubbi. Egli sosteneva che il problema non sono i pensieri in sé, ma l’importanza e l’attaccamento che gli conferiamo: l’esistenza della mente buddica si realizza lasciando andare e venire i pensieri. Una sana autocritica si dimostrerà più utile che mai. Se la chiave della propria realizzazione è abbandonare illusioni e fissazioni, quale sarà la via da seguire? …
“Bankei è stato un maestro zen giapponese del XVII secolo, particolarmente attivo nel divulgare lo zen tra gli agricoltori. Bankei presentava un sistema zen completamente diverso [rispetto ai suoi contemporanei], che denominò fu-sho. Questo termine significa il ‘non-nato‘ ovvero ciò che non è ancora sorto e che, in effetti, non sorge mai. Bankei affermava che riceviamo una mente immortale, non nata (la mente buddica) dai nostri genitori, che tutti la possiedono e che essa rappresenta tutto ciò che ci serve per affrontare qualunque cosa nella vita. Come interessante riprova di ciò, citò il fatto che quando si ode una varietà di suoni, per esempio in un bosco in cui si è circondati dai richiami di corvi, passeri eccetera, si sente distintamente ogni singolo suono senza alcuno sforzo particolare. Come può avvenire un simile prodigio in modo così naturale? Questa abilità proviene dalla mente buddica, che è non nata e quindi immortale.
C’è la storia di un prete che si recò da Bankei e gli disse: «Beh, ciò che insegni sembra fantastico, ma quando entro in contatto con la mia mente buddica io divento semplicemente svagato e distratto». Bankei rispose dicendo che, se avesse accoltellato il prete alle spalle con qualcosa di appuntito, costui avrebbe percepito un dolore acuto, dimostrando quindi che la sua mente era del tutto vigile. C’è poi un altro aneddoto su un laico che era andato a lamentarsi con Bankei della propria pigrizia, della propria mollezza nella pratica zen e della propria incapacità di fare progressi lungo il sentiero. Al che Bankei rispose: «Ma non ha senso… Quando sei nella mente buddica non c’è alcun bisogno di fare passi avanti, ed è impossibile fare passi indietro. Quando l’avrai capito, non penserai più a stupidaggini come questa».
Vedete, Bankei insegnava che i pensieri sorgono dalle aree poco profonde della nostra mente e poiché i pensieri non sono entità concrete, in realtà non si deve fare altro che lasciarli emergere, farli stare lì per un po’ e infine lasciarli svanire. I pensieri per loro natura vanno e vengono in quel modo. Ci si smarrisce soltanto quando si sviluppa un attaccamento verso di essi.
Perciò l’insegnamento principale di Bankei consisteva nel dare libero corso al processo naturale. Affermava che, lasciando andare e venire i pensieri, si permane nella mente buddica, quindi praticare la disciplina e lo zazen non è qualcosa di realmente importante. «La mente buddica non nata», diceva, «non ha assolutamente nulla a che fare con l’atto di sedere tenendo davanti a sé un bastoncino d’incenso. Risvegliati o sopiti, si è sempre un Buddha vivente». Fu così che Bankei provò a insegnare uno zen privo di metodo: si poteva meditare se si voleva, ma non era necessario. Insegnò che meditare per raggiungere l’illuminazione è come cercare di fabbricare uno specchio lucidando una tegola. Disse anche che cercare di purificare la mente è come cercare di lavare via del sangue con altro sangue. Bankei era l’abate di Myoshin-ji, dove eliminò la pratica di colpire col bastone kaiseki i monaci che si addormentavano perché, diceva, «un uomo dormiente resta pur sempre un Buddha e non si dovrebbe mancargli di rispetto». Hakuin, un suo contemporaneo, ebbe ottanta successori, ma Bankei non ne ebbe alcuno. E taluni ritengono che quello sia stato il suo tratto più ammirevole.”
[ Da: Alan Watts, “Lo zen e l’arte di imbrogliare la mente“ ]
– Alan W. Watts – Macrolibrarsi.it
– Alan Watts – Amazon
– Alan Watts – Wikipedia
Il non-nato (anutpāda)
«La tradizione buddista usa il termine “anutpāda” (non-nato) per indicare l’assenza di un’origine o śūnyatā. Il termine è usato anche nel Lankavatara Sutra, dove è equiparato a sunyata. Secondo D.T Suzuki, “anutpāda” non è il contrario di “utpāda” (nascita), ma trascende gli opposti. È il vedere la vera natura dell’esistenza, il vedere che “tutti gli oggetti sono senza sostanza propria”.
La frase completa è fushō fumetsu, “non nato e non morto”, o “nessuna creazione e nessun annientamento”, ma negli ultimi anni Bankei usò solo il termine “non nato”, poiché Bankei riteneva logicamente impossibile dire che qualcosa che non è stato creato viene distrutto, rendendo il termine “non morto” ridondante. Tuttavia non è logicamente impossibile che qualcosa che è sempre esistito cessi di esistere, da qui l’utilità di utilizzare entrambi i termini.
Sebbene il non-nato sia lo stato naturale dell’uomo, “l’autocritica”, piuttosto che lo zazen o i koan, sono necessari per liberare il sé dall’illusione e dai pensieri dualistici e dalle fissazioni (nen). Secondo Bankei, l’illusione nasce dal “desiderio egoistico”, e i nen sono “immagini di cose viste e sentite”. Staccandosi da queste illusioni e fissazioni, né cercando di prevenirle né cercando di incoraggiare ulteriori pensieri […] esse si fermeranno certamente da sole.»