Nota introduttiva: la seguente conversazione – un vero e proprio dialogo intercorso tra il quarto patriarca, Tao-hsin e Fa-jung e riportato da D.T. Suzuki, nei suoi “Saggi sul Buddismo Zen” – aiuta a divenire consapevoli della distanza tra ciò che si è, quel che si suppone di essere e quanto si crede di osservare. Lo scopo è di restituire alla mente il ruolo che più le compete, ossia di strumento temporaneo e non di verità assoluta. Ciò non esclude che la mente sia, nel contempo, parte integrante del nulla-tutto definito spirito. Ne avete abbastanza? Vi siete concentrati a sufficienza? Allora consentite al frastuono del silenzio di suggerirvi la risposta alla domanda preliminare: chi è colui che contempla? Un semplice spunto che mi propose il mio insegnante di meditazione, un maestro zen. Ai fini pratici ha importanza solo il contemplare. Che sia un muro bianco, una raffigurazione a cui si attribuisce grande valore, la fiamma di una candela o il flusso spontaneo del respiro è solo un fatto episodico, un esercizio contingente e soggettivo. Ma è sempre meglio assecondare la propria natura, l’esigenza del momento. …
Qui Suzuki narra del colloquio tra il quarto patriarca, Tao-hsin e Fa-jung:
“Tao-hsin, avendo saputo che un uomo straordinariamente santo viveva sulle montagne di Niu-t’ou, decise di andare a conoscerlo. Giunto ad un tempio buddhista fra quei monti, Tao-hsin si informò circa la persona ed apprese che era un anacoreta il quale mai si alzava dal suo posto né salutava coloro che gli si avvicinavano.
Tao-hsin continuò la sua via fra i monti e alla fine vide l’uomo, era proprio quale gli era stato descritto; stava seduto calmo e non fece alcuna attenzione all’arrivo dello straniero. Tao-hsin chiese all’eremita che cosa facesse in quel luogo. «Contemplo lo spirito», fu la risposta. Allora Tao-hsin domandò: «Chi è colui che contempla? Che è lo spirito che egli contempla?». Fa-jung non era preparato a rispondere a simili questioni. Pensando che il visitatore fosse un uomo di profondo sapere, si alzò, lo salutò e gli chiese il nome. Venuto a sapere che non era altri che Tao-hsin, la cui fama gli era già nota, lo ringraziò per essere venuto a visitarlo. Stavano per entrare in una capanna vicina per conversare sulla dottrina, quando Tao-hsin vide animali selvaggi, tigri e lupi, che erravano nei pressi, per cui alzò le braccia, come per terrore. Fa-jung osservò: «Vedo che è tuttora in voi». Il quarto patriarca replicò subito: «Che vedete ancora?». L’eremita non rispose. Dopo un poco, il patriarca segnò il carattere «Buddha» sulla pietra sulla quale Fa-jung era uso sedersi quando contemplava. Ciò vedendo, questi sembrò scandalizzato. Il patriarca disse: «Vedo che è tuttora in voi». Fa-jung non riuscì a cogliere il significato di questa osservazione e lo implorò di istruirlo nella verità suprema del buddhismo.”
(Da: D. T. Suzuki, Saggi sul Buddismo Zen)
– D. T. Suzuki (amazon)
– D. T. Suzuki (macrolibrarsi)
– D. T. Suzuki (it.wikipedia)