Daniel Odier accenna all’estasi e alle sue implicazioni in funzione della meditazione. La “grande pratica” della trascendenza per antonomasia, ovvero il “Grande Yoga” è illustrato con tale semplicità da non lasciar dubbi di sorta su quale sia, in realtà, il cammino per eccellenza, la somma via che inoltrandosi nei meandri della quotidianità e districandosi nel sublime labirinto del mondo oggettivo riconduce, sulla via della non mente, a se stessi, all’Unità tra corpo, mente e spirito.
«La nostra resistenza all’estasi non è più spessa di un muro di carta. Viene un momento, nella meditazione, in cui si percepisce una tensione che si esprime sotto forma di fremito e nella quale si esita a penetrare, perché è l’ultimo bastione della nostra frammentata Coscienza del corpo. […]
Scoprii la straordinaria libertà di non aspettare nulla, di non perseguire nulla, di non anticipare nulla, di non costruire alcun progetto. Presi un piacere inconcepibile a lasciarmi vivere. […] Non vi è nient’altro da fare che lasciarsi vivere. Aprire, rilassare, lasciare che il proprio spirito riposi, non accumulare più, non cercare più, liberarsi dal dubbio e dall’attesa […].
Il Grande Yoga [in metafora: la grande pratica] è bere, mangiare, toccare, vedere, camminare, dormire, urinare, defecare, sentire, restare silenziosi, parlare, sognare, sedersi, attraversare la strada, salire nel bus, attraversare città e paesaggi, sguardi e suoni, bellezza e brutture senza mai essere separati dal divino che è in noi. Nessuno yoga è superiore a colui che non teme di immergersi nella realtà. Fuori della realtà, non vi è alcuna traccia dell’assoluto.
Il Grande Yoga è come la grammatica inglese che si insegna a scuola. È molto semplice. Vi sono una frase, delle parole, una punteggiatura. Il Grande Yoga è la percezione molto acuta della punteggiatura. Noi siamo abituati a porre attenzione alle parole, ma la porta del divino si trova nella punteggiatura. Le virgole, i punti, segnano una pausa tra due segmenti, tra due proposizioni, tra due frasi. La virgola, il punto sono l’infinito, il vuoto. […]
Viene un giorno in cui […] tutta la realtà del mondo, tutte le sue forze, tutti i suoi antagonismi, si mettono a scorrere nella stessa direzione e ad avere un solo sapore e un solo profumo. […] Praticare in questo senso, è praticare senza interruzione, ma avendo una cura estrema alla punteggiatura. […] Nulla può essere separato. Non si può avere uno scomparto per i piaceri dello spirito, uno scomparto per i piaceri del corpo, uno scomparto per il divino, uno scomparto per la violenza, uno per quelli che non hanno stato sociale, uno per quelli che sono privilegiati.
Il vero senso della vita è che tutto comunica e che tutto trasmette una carica. […] Contrariamente a quello che la maggior parte del genere umano pensa, non vi è alcun rischio a gettarsi nel turbine, ma non ce ne rendiamo conto che dopo aver saltato, e ciò che è difficile è saltare: “Saltare è il Grande Yoga!”.»
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