Riflessioni in prospettiva spirituale sui metodi della propaganda. Osservazioni, redatte nel 2001, che ora mi sembrano un po’ ingenue, ma non per questo meno degne di considerazione.
Chi è un violento? Uno che ce l’ha scritto in fronte o chi si comporta violentemente?
Durante il corso della riflessione precedente, ebbi l’idea di tentare un chiarimento sommario dei metodi propagandistici che i movimenti violenti e coercitivi utilizzano per indurre dipendenza psicologica nelle masse e reprimere l’obiettività di giudizio dei singoli individui. Avverto ora, quasi il dovere di rimediare ad una certa omissione nella disamina già intrapresa.
Ho descritto approssimativamente il sistema della propaganda. Vorrei insistere, altrettanto sinteticamente, sullo stesso argomento, per chiarirlo meglio.
Taluni studiosi parlano di messaggi subliminali. Li ritengono un metodo per operare molteplici e svariate manipolazioni. Ma prima ancora di tali recondite comunicazioni esiste un espediente ben più semplice e a buon mercato. La ripetizione costante, periodica, reiterata, talvolta finanche ossessiva di concetti elementari, affermazioni chiare, limpide, lapalissiane, ma dai fini tremendamente ambigui. Tali concetti sono propagandistici, travalicano il libero arbitrio delle coscienze individuali lasciando impronte indelebili persino sugli individui, comunque una minoranza, meno influenzabili. L’esercizio di siffatti condizionamenti pianificati è senz’altro molto diverso dalla pubblicità, divulgazione o promozione informativa. Il segreto del suo incredibile e travolgente successo, sarà bene rimarcarlo, è uno soltanto: la proposizione e riaffermazione dei medesimi concetti sino ad ottenere il condizionamento occulto dei soggetti interessati.
Fin quì la propaganda, e il resto, la libertà?
Le contrapposizioni ideologiche sono solo virtuali, quindi false, immaginarie. Come le divisioni culturali, tra nazioni, popoli, razze. Come la separazione tra nord e sud, le bandiere insanguinate. L’espressione attonita dei volti pesti, umili, umidi e stupiti dei bambini affamati e quella per noi incomprensibile dei ricchi ed opulenti delegati solidali che dovrebbero, secondo le migliori intenzioni di tanti Stati assisterli. Come qualunque discriminazione. Perché veicolano gli odi preesistenti e ne generano altri. Promuovono la barbarie dell’egoismo e della prepotenza, la persistenza della violenza strumentale.
L’unica barriera reale consiste nella contrapposizione tra indigenza e benessere.
Io credo che la solidarietà sia un’elargizione infima, un obolo infido. E che l’unico ideale da perseguire e realizzare immediatamente dovrebbe essere quello della reciprocità.
E dell’onestà. Quell’antico sentimento che ti spinge a rifiutare un qualsivoglia sotterfugio per tentare, ad esempio, di racimolare la tua sopravvivenza, a discapito di quel tuo fratello che ne avrebbe effettivamente diritto. E diventare, che tu lo riconosca o meno, un furfante. Una persona che cagiona sofferenza. Invece di subire dovresti condividere le difficoltà ed adoperarti civilmente, ma con ferrea determinazione, per sconfiggere le ingiustizie ed emergere definitivamente.
Ebbene, coloro che tutelano l’ordine o governano (ora sono all’opposizione – 2018) sono esenti da tutto questo? Possono arrogarsi il diritto di dimostrarsi integerrimi ed inflessibili rifiutando persino di considerare le ragioni della controparte? Possono scagliare la prima pietra?
Grazie per la cortese attenzione.