Si, ne avevamo proprio bisogno, il Natale di Gesù 2.0. D’altra parte in cosa potremmo sperar di meglio se non un’aurora di tranquilla, durevole e profonda armonia che ci consenta di affrontare le turbolenze e incertezze quotidiane con l’opportuno cipiglio? L’ottimismo non si fabbrica, non dipende dai convincimenti. Semmai deriva, innanzitutto, dalla sensazione che onestà e giustizia riusciranno infine a prevalere sulle istanze più ipocrite e indecenti. Vi propongo tre intuizioni natalizie su cui riflettere. Se Dio è nostro padre, significa che noi siamo della Sua stessa natura. Tutti i problemi derivano dal non comprendere la propria mente. Entra in sintonia con te stesso e sarai in armonia con l’universo.
Un Natale di pace
L’auspicio è per un Natale di pace, mi sembra ovvio. Ma come realizzare, conseguire, una pace che sia duratura? Cercare la pace sforzandosi di risultare esteriormente amorevoli, altruisti o compassionevoli, serve a ben poco. Casomai sono solo atteggiamenti melliflui forieri di una doppia morale. La pace deve essere innanzitutto raggiunta interiormente. Non sto parlando d’introspezione, né tanto meno di banale relax. E non si tratta di una conquista. Tanto meno di un training. La via dei condizionamenti coincide con quella della miseria morale e materiale. Solo l’indipendenza da suggestioni e plagi intravista con la meditazione può offrire quell’inizio di libertà interiore indispensabile per sentire e non subire la spinta a elevare la propria coscienza al di sopra del gretto egoismo. Quando il simbolico punto di luce esteriore coincide con l’altrettanta emblematica oasi di pace interiore, ecco zampillare dal nulla o riversarsi dal tutto, scaturire dal silenzio o prorompere dal ritmo del più assurdo e caotico putiferio l’essenza della consapevolezza.
Meditazioni natalizie
Diciamo che il tutto procede da sé, noi ci illudiamo di muovere il mondo, ma la ruota, imperterrita, ci ignora, come sempre, amabilmente. Quando la superficie è lucida sembra brillare … la virtù … Ma cosa cova sotto la cenere? A differenza di altre pratiche spirituali la meditazione non comporta necessariamente professioni di fede. Se da una parte sembrerebbe un concetto trito e ritrito al punto d’apparire più una difesa che la constatazione dell’evidenza, dall’altra … la meditazione vien già praticata da chiunque. La chiarezza e l’unità verso cui protende sono soprattutto compassione, amorevolezza e sollecitudine. Impulsi che durante le festività religiose diventano particolarmente significativi.
Partecipa, per esempio, ai tradizionali canti natalizi. Immagina di diventare tutt’uno con la musica. Rammenta di mantenere una posizione consona ed in ogni caso non supina. Non appena la musica sarà terminata rimani in silenzio per un po’. Successivamente, non tralasciare una passeggiata distensiva.
Oppure contempla un soggetto ritenuto sacro. Meglio, ovviamente, se ti attrae o affascina, incanta, seduce, rapisce … È inutile pensare al Buddha se un Buddha per te non rappresenta nulla (per me corrisponde, approssimativamente, a una qualità della dimensione interiore). Lo stesso dicasi per le preghiere. Ciò che fa la differenza è la qualità dell’attenzione, di una partecipazione consapevole e, nei limiti del possibile, spontanea. Fermo restando, come sempre, l’equilibrio, il non esagerare in nulla, nonché il fatto di trarne benefici. Tutti questi approcci, meditazioni in senso lato, devono essere e rimanere pratiche distensive. Non presuppongono nessuna credenza aprioristica.
Epilogo
La natura è solo una. Ci appare umana, parziale, o divina secondo il modo in cui riusciamo a percepire la realtà. Ciò che è, al di là di qualunque possibile immaginazione, è già di per sé incredibilmente magnifico. La sensazione di ricevere e che il tutto proceda dall’alto è relativa, illusoria, perché l’alto è già qui, esattamente come l’acqua dolce non può essere separata dallo zucchero (altrimenti avremmo solo acqua e solo zucchero, giammai acqua dolce).
Quando un bambino africano muore non c’è stato nessun Dio malvagio o indifferente, semplicemente perché è stato Dio stesso a morire. E quella parte-tutto saprà comunque farsi valere.
Quando un bambino africano nasce, ora come 2.000 anni fa – è per questo che l’ho rinominato Gesù 2.0? – quando un bambino nasce non c’è stato nessun Dio buono e compassionevole, semplicemente perché è stato Dio stesso a ri-nascere.
Ai posteri. Le prime parole che Dio pronunciò nascendo furono: dov’è l’onda (d’amore)? Buon Natale.