“L’ultimo appiglio? Beh, lo chiamerei meglio «l’ultimo approdo»”. I toni della rana zen sono spesso colloquiali. “Maestro, ho girovagato per anni. A volte di persona, fisicamente; ma spesso anche con l’ausilio dell’immaginazione, ossia mentalmente; infine in entrambi i modi: mi trovavo in un luogo, ad esempio con qualcheduno che ritenevo di amare – o di odiare? – o gli ero indifferente? –; invece con la fantasia o addirittura con la mia essenza astrale indugiavo altrove. Oh Dio – delle rane Zen – che pasticcio!”
“Sei convinta di essere una grande, vero?”, la sferzò il maestro, già seduto al suo fianco.
Colta così, sul misfatto, a svolazzare come una farfalla vagabonda, alla rana non rimase che ammettere la disperata distrazione che, oramai, l’affliggeva da giorni.
“Ma non è sempre stato così”, sì scusò la discepola.
“E non lo sarà più!”, decretò il maestro brandendo una sciabola. No, siamo nel 21esimo secolo! Era, piuttosto, un biglietto di benservito che ne decretava la temporanea espulsione.
La rana sapeva di non poter recriminare. L’accettò suo malgrado e si recò nell’ala di transito dove i discepoli richiamati all’ordine potevano comunque soggiornare sine die, ma solo a condizione di meditare, contemplare il respiro – tre volte al giorno – dimostrando, qui e ora, l’assoluta determinazione a non-cambiare, da ciò che furono, da ciò che lì per lì erano divenuti, da ciò che sarebbero stati. Semplicemente, non-cambiare.
In un remoto angolo della sala d’accoglienza del “Tempio dei loti senza-tempo” c’erano delle preziose pergamene affisse, in bella mostra, alla parete, ma su cui nessuno si degnava quasi mai di soffermarsi. Nella prima si poteva leggere: “Tu non sei qui per cambiare, ma per accettarti così come sei!“. Quando la rana lo rilesse ne realizzò subito lo scaltro escamotage: sedette e si propose di … meditare su “ciò che è” finché non si fosse – risvegliata? – rinsavita? – riconnessa a dovere.