“Credo che questo sia uno dei racconti più importanti”, sospirò la rana. “Cosa pensate che sia, in fin dei conti, la meditazione, se non una guarigione psico-spirituale complessiva e, in un certo senso, persino permanente?”. “Eh già”, proseguì la medesima, “gira e rigira si ritorna sempre al punto di partenza. L’inerzia della ruota è, pressoché, senza fine. Tu t’impegni, t’identifichi con questo e con quello, quindi ti disilludi, a volte combatti per districarti dalla ragnatela di credenze, false speranze, appigli di ogni sorta; e poi, cosa succede?”
“Ti rendi conto che nonostante tu sia convinto di esserti, in qualche modo evoluto, in realtà non ti sei mosso di un millimetro. Avevi cominciato con l’obiettivo di uscire dal sogno – dal suo pantano – e concludi con l’evidenza che quella è l’unica destinazione possibile. Intanto, nell’intervallo, ne hai vissute di tutti i colori, episodi sconcertanti che ti avevano per lo più agitato, reso suscettibile, in parte alienato; nonché momenti di calma sublime durante cui avevi la netta sensazione che tu e la vetta eravate, digià, una cosa sola.”
“Questa è la narrazione della mia guarigione. Un attimo. Cosa sto per fare? Ci sono solo due alternative: o bleffo del tutto, oppure tergiverso, minimizzo, ammanto il discorso di mistero, quindi, … No, per quanto inconsueto e antistorico sto parlando proprio di autoguarigione che avviene in virtù dell’espansione della propria consapevolezza sino a comprendere i ritmi più profondi dell’universo esistenziale di ciascun essere senziente. Questo processo di emancipazione psicofisica richiede innanzitutto il rilassamento che, a sua volta, genera calma e, quindi, distacco.”
“Sì, ma che mi dici riguardo l’attenzione?” le chiese d’improvviso il maestro che aveva assistito, per puro caso, al soliloquio estemporaneo della sua strana discepola.
La rana trasalì, lo fissò stralunata e si chinò umiliata di aver trasgredito la prima e unica regola del “Tempio dei fiori eterni”, l’attenzione, la presenza di spirito che disvela via via l’interiorità più profonda, la verità primeva, il volto originale, il centro senza centro: “Serve a non lasciarsi impelagare nell’autoreferenzialità marginale, nella periferia dell’essere, quindi, nell’egotismo.”
Sicché, quatta quatta, se la svignò come un’ombra sorpresa a cincischiare alla luce di un’alba sempiterna.