Mi sembra una vita che in barba a tutte le regole grammaticali vorrei cominciare con una “e” congiunzione. Ma perché? A cosa dovrei congiungermi? Forse al filo di un racconto semiserio che esiste da sempre? In realtà io, ultra-povera – di spirito, almeno lo spero –, più che semplice e stra-derelitta rana zen, vorrei proseguire il discorso senza parole, senza frasi fatte, del tutto silente, assolutamente rispettoso – vedi? Mi prostro già! – con l’infinito. Ovviamente non pretendo che tu comprenda il mio stato d’animo. So bene che le mie emozioni sono solo passeggere, non hanno una realtà effettiva, ma ciò che le suscita va aldilà di qualunque ragionamento.
E venne il giorno in cui la rana zen si ritrovò sola. Ma non senza amici. Bensì senza speranza, senza riuscire più a credere in nulla, senza riuscire ad articolare uno straccio bel benché minimo pensiero coerente, pressoché in silenzio. Il nobile e prodigo anfibio comprese che le sue radici si erano quasi dissolte. Sicché le accadde, … e in guisa del tutto spontanea sollevò i suoi bellissimi occhi all’ancor più incantevole cielo dello straordinario pianeta azzurro a due soli in cui qualche decennio prima aveva avuto la fortuna di rinascere.
La spontaneità del gesto la rese così ricettiva che il sublime le piombò addosso con l’intensità … di una piuma. Tra sconcerto e stupore la rana zen si recò dal suo proverbiale maestro per porgli il quesito più scontato che mente terrestre abbia mai potuto concepire.
– Maestro, … ma Dio esiste?
– Certo, figliola, tuttavia è difficile incontrarlo.
L’ombra della sera procedeva rapida. E mentre rapiva senza rimorso gli ultimi scampoli di luce, la rana zen obiettò ulteriormente.
– Maestro, come conoscerlo?
– Impossibile figliola, non v’incontrerete mai, o ci sei tu o c’è lui.
E mentre il buio declinava ulteriormente, il maestro si recò all’appuntamento per redistribuire tutti, ma proprio tutti, i doni che quel fortunatissimo giorno aveva appena ricevuto.