Stavolta la rana zen non sapeva cosa scrivere, non aveva nulla da raccontare. Il pur nobile, così come loquace e culturalmente prolifico anfibio si era impaludato in una impasse che al confronto il cosiddetto blocco dello scrittore sarebbe sembrato persino un’inezia. Che dire, come argomentare la propria propensione alla meditazione? Donde proveniva quella sensazione di placida incoerenza che la sospingeva a contemplare senza motivo il fluire del tempo, l’avvicendarsi delle stagioni, per ritrovarsi infine, come sempre, qui, nell’adesso?
In silenzio, senza nemmeno la possibilità d’ipotizzare alcunché, di dedurre e poi dimostrare neppure la più banale tra le tesi esistenziali. In silenzio … Che fare, come districarsi senza poi sperare, come almanaccarsi? …
Eureka! La soluzione le piovve addosso come un frammento di meteora. Così violento da lasciarla senza fiato? No! Senza parole? Nemmeno! Anzi, si disse, la parola lasciamola agli altri. Noi – plurale maiestatis, poveretta si era fusa d’orgoglio – ci limiteremo a trarne le debite conclusioni.
Ebbene, come il più provetto tra i furbastri accoliti della vecchia politica ordì un incredibile sondaggio! “Chi viene prima, la rana zen o la meditazione?”. L’anfibio tacque e tentò d’investigare immergendosi nel buio dietro gli occhi. Ma la domanda, qualunque fosse stata la domanda, non c’era più. Lasciate perdere le domande, qualunque tipo di domande e sarete in meditazione.
Il maestro, che osservava sottecchi il suo eclettico profilo pensante sentenziò: “Questa è matta!”