Mi sono chiesto spesso fino a che punto sia possibile conciliare poesia e meditazione. Ovvero se la poesia non possa sorgere – scaturire – a seguito della meditazione stessa. Cos’è che ci spinge ad ascoltare prima, a tacere – cioè rimanere in silenzio – poi? L’afflato della trascendenza, un richiamo soprasensibile?
La ruota della vita
La meditazione è come il vento che scuote i drappi della tua coscienza identificata, i paramenti dei tuoi ultimi appigli, l’ego.
La meditazione è come l’acqua che ondeggia lieve e al contempo vorticosa per creare flutti d’amorevolezza e passione.
La meditazione è come la solitudine d’un canto che furoreggia nell’animo … che mentre echeggia tra le valli dell’imperscrutabile, mira alle più sublimi vette del cielo.
Proprio laddove il confine tra umano e soprasensibile sembra annullarsi definitivamente per glorificare la ruota della vita.
Senza esaltare o disprezzare alcunché – pregi o virtù che siano – il ritmo, scolpito nella pietra, decalca il canto che si contrappone al silenzio.
Il coro della volontà di conoscere celebra all’unisono gli ineffabili simboli della propria cultura. Lo scabro ritmo imposto dalla realtà diviene dolcezza.
Quando le ombre dei pensieri disertano, senza lasciare impronte, rimane la levità della gioia di essere.