Nel cammino interiore tracciato dall’esperienza meditativa, accade talvolta che l’animo si ritrovi immerso in una quiete così profonda da far emergere un linguaggio diverso, non convenzionale, che si nutre di intuizioni e riverberi silenziosi: è il linguaggio della poesia. Non si tratta di un’elaborazione mentale o di un esercizio retorico, ma di un riflesso spontaneo che scaturisce da uno stato di lucida presenza, capace di dissolvere il frastuono abituale del pensiero. Quando la mente si acquieta, quando ogni affanno si dissolve senza clamore, allora può affiorare una vibrazione intima, autentica, che non ha bisogno di spiegazioni. In questo fluire, la meditazione non è solo pratica silenziosa, ma anche spazio vivo dove si rivelano immagini e suggestioni che parlano all’anima in modo essenziale. Non c’è nulla da forzare: l’espressione poetica che può emergere da tali profondità non pretende d’essere compresa, ma semplicemente ascoltata, accolta, colta nel suo bagliore effimero eppure significativo. È in questo raro equilibrio tra raccoglimento e intuizione che poesia e meditazione si sfiorano, si riflettono l’una nell’altra, si evocano senza mai confondersi. Ci si accorge allora che non serve cercare, ma soltanto lasciar risuonare ciò che sorge da sé, come un’eco familiare, come un sussurro che la mente, finalmente quieta, non tenta più di decifrare, ma custodisce con naturalezza.
Mi sono chiesto spesso fino a che punto sia possibile conciliare poesia e meditazione. Ovvero se la poesia non possa sorgere – scaturire – a seguito della meditazione stessa. Cos’è che ci spinge ad ascoltare prima, a tacere – cioè rimanere in silenzio – poi? L’afflato della trascendenza, un richiamo soprasensibile?
La ruota della vita
La meditazione è come il vento che scuote i drappi della tua coscienza identificata, i paramenti dei tuoi ultimi appigli, l’ego.
La meditazione è come l’acqua che ondeggia lieve e al contempo vorticosa per creare flutti d’amorevolezza e passione.
La meditazione è come la solitudine d’un canto che furoreggia nell’animo … che mentre echeggia tra le valli dell’imperscrutabile, mira alle più sublimi vette del cielo.
Proprio laddove il confine tra umano e soprasensibile sembra annullarsi definitivamente per glorificare la ruota della vita.
Senza esaltare o disprezzare alcunché – pregi o virtù che siano – il ritmo, scolpito nella pietra, decalca il canto che si contrappone al silenzio.
Il coro della volontà di conoscere celebra all’unisono gli ineffabili simboli della propria cultura. Lo scabro ritmo imposto dalla realtà diviene dolcezza.
Quando le ombre dei pensieri disertano, senza lasciare impronte, rimane la levità della gioia di essere.
Epilogo
Alla fine, non resta che accennare un sorriso leggero, come quello che talvolta affiora dopo un lungo benedetto silenzio. Non c’è da spiegare né da trattenere: quel che la meditazione evoca, se velato di poesia, non chiede interpretazioni, ma si affida al cuore, come un seme che attende solo quiete per germogliare. Così l’esperienza si compie in sé, priva di clamore, e ciò che pareva ineffabile si lascia intuire all’istante, in una pausa, in un non-detto, nel battito sottile che accompagna ogni autentica consapevolezza. La parola tacerà ancora, ma in quel tacere continuerà a parlare.