Il cercatore è il cercato (Nisargadatta Maharaji).
È una frase molto famosa, tuttavia, per certi versi, un po’ ambigua. Se il cercatore è il cercato perché non ce ne rendiamo subito conto? Cos’è che ci impedisce dall’esperirlo appieno? Le sue implicazioni sono fondamentali, ma non si tratta di una supposizione teorica o dell’enunciato del maestro tal de’ tali. E’ soprattutto la sensazione di chi, sopraggiunto alla fine del suo sentiero, tenta di spiegare, a se stesso come agli altri, la sua realizzazione.
In Occidente (nella sua sfera d’influenza) ne parlò proprio uno degli emblemi religiosi più puri, il Cristo, Gesù il Nazareno. La sua rivelazione, “io e il padre mio siamo uno”, ha pressappoco lo stesso significato. Mi preme sottolineare che il percorso spirituale non è come un circolo, semmai potrebbe rappresentarsi con una spirale protesa, ovviamente, verso l’alto. La via non è l’introspezione tout court. Certo, il raccoglimento, che di per sé non significa necessariamente immobilità, è utile.
Nello specifico, una possibile meditazione è questa: osservi, com’è giusto e naturale che sia, ma non intervieni, non interferisci e, in particolare, non t’identifichi; non dissociare la realtà in dentro e fuori, alto e basso, interiorità ed esteriorità; abbandona, quindi, ogni distinzione; non scindere tra volontà e inerzia; non distinguere tra concentrazione e disattenzione.
L’entità mente-corpo si calma, subentra uno stato sottile di quiete, di silenzio. Mentre dapprincipio non ti concentri su nulla di specifico, nel prosieguo, la convergenza su ciò che potremmo indicare come l’uno-tutto, l’essenza, il volto originale, sarà del tutto naturale. Dunque, tu non manipoli i pensieri. Certo, li osservi, ma solo perché sei vivo. Cos’è che accade? Diventi consapevole che l’essenza non è solo tua, ma è in comune con tutti coloro che la riconoscono come tale. Eri partito come un viandante in cerca di te stesso e hai trovato la realtà, il mondo. Il cercatore è il cercato.