Dal messaggio di un cortese visitatore:
«Cari amici, secondo il buddismo non c’è nessuna anima che debba reincarnarsi. Come ho letto nel sito: “La continuità non consiste in una trasmigrazione di anime, bensì nella rinascita del carattere. Le forme-pensiero riemergono, si ripropongono, ma non vi è traslazione di un’entità-ego”. Capisco che si tratta di differenze sottili. Colui che rinasce in un certo senso è la stessa persona di prima, ma in un’altra si tratta di un individuo completamente nuovo. E’ la stessa persona di prima in quanto l’imput è identico. E’ nuovo perché in realtà si tratta di un individuo che non è mai esistito. Ma questo è il buddhismo più ortodosso.
In un’altra pagina ho letto che le anime sono essenzialmente fenomeni di consapevolezza. Su ciò sono ancora più d’accordo, perché quando la consapevolezza si espande, la percezione del mondo e dell’eventuale sofferenza che talvolta comporta è completamente diversa. Un conto è spiegare cosa accade, un altro viverlo in prima persona. Eppure sarebbe così semplice. Ma chi vuole davvero cambiare? La domanda è rivolta anche a me stesso.
Forse se qualcuno insegnasse a coloro che sono ammalati la meditazione di consapevolezza del proprio respiro, non dico che risanerebbero, però riuscirebbero a considerare le circostanze da un punto di vista completamente differente. Così nuovo e alternativo, così vero da ridargli la speranza e confidare persino in ciò che prima ritenevano del tutto improbabile, e in se stessi, o nella bontà degli umani. E sorridere, nonostante poi taluni dovessero lasciarci con un po’ di anticipo, non tanto per la certezza o eventualità di ritornare, quanto nella gioia implicita di aver conquistato e superato l’unico vero ostacolo, l’illusione. Una volta chiesi a un maestro di Yoga: perché tutto questo dolore? Ed egli impietosamente mi rispose: ciascuno deve riconoscere la propria illusione personale.»