Quando ci si avvicina alla meditazione, per quanto si tenti o ci si proponga di rimanere neutrali, ossia equidistanti dalle tradizioni religiose, per lo meno quelle più note, non si può ignorare il Buddhismo, la sua magnificenza, onestà intellettuale e purezza spirituale. Quale migliore opportunità, pertanto, del soffermarsi, seppur per qualche breve, ma proficuo frangente, sugli appunti che lo straordinario – quanto indimenticabile – Thich Nhat Hanh redasse a tal nobile e lungimirante proposito? Il “nostro” magnifico monaco zen comincia con una breve disamina del concetto di fede nel buddhismo per sviluppare ulteriormente – a beneficio degli esseri senzienti che intendano approfondire siffatti argomenti – un’attenta analisi delle sue conseguenti implicazioni, tanto in teoria, come nella pratica quotidiana. […]
«Prendo rifugio nel Buddha,
colui che mi indica la strada in questa vita.Prendo rifugio nel Dharma,
la via della comprensione e dell’amore.Prendo rifugio nel Sangha,
la comunità che vive in armonia e in consapevolezza.
Nel buddhismo, prendere rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha è una pratica fondamentale: si tratta di valori universali che vanno al di là di ogni differenza di casta e di cultura. Quando eravamo nel grembo di nostra madre ci sentivamo al sicuro, protetti dal calore, dal freddo, dalla fame e da altre difficoltà. Cercare un rifugio significa cercare un luogo sicuro come quello, sul quale fare affidamento.
Il significato di fede nel Buddhismo
Per i buddhisti, il termine “fede” (śraddhā) non significa accettare una teoria a scatola chiusa: il Buddha stesso ha incoraggiato a verificare di persona. Prendere rifugio nei Tre Gioielli, quindi, non è fede cieca, ma è il frutto della pratica. All’inizio il nostro Buddha potrebbe essere un libro che abbiamo letto, il nostro Dharma qualche frase incoraggiante che abbiamo sentito dire e il nostro Sangha una comunità che siamo andati a trovare una volta o due. Poi, se abbiamo continuato a praticare, il Buddha, il Dharma e il Sangha ci si rivelano più pienamente.
La fede è importante per tutte le religioni. Alcuni dicono: «Se crediamo in Dio e poi salta fuori che esiste davvero, siamo salvi; se poi non esiste, non abbiamo perso niente». I teologi parlano di “salto nella fede”, come un bambino salta giù da un tavolo nelle braccia del suo papà: il bimbo non è sicuro al cento per cento che il papà lo prenderà al volo, ma ha abbastanza fede in lui da saltare lo stesso. La nostra fede di buddhisti è concreta, non cieca, non è un salto; è formata dalla nostra comprensione risvegliata e dalla nostra esperienza. Prendendo rifugio nel Buddha, noi esprimiamo fiducia nella nostra capacità di avanzare in direzione della bellezza, della verità e della comprensione profonda, fiducia basata sulla nostra esperienza dell’efficacia della pratica. Prendendo rifugio nel Dharma, ci incamminiamo sul sentiero della trasformazione, il sentiero che conduce all’eliminazione della sofferenza. Prendendo rifugio nel Sangha, focalizziamo le nostre energie sulla costruzione di una comunità che dimori nella consapevolezza, nell’armonia e nella pace. Quando tocchiamo di persona questi Tre Gioielli e sperimentiamo la loro capacità di generare trasformazione e pace, la nostra fede si rafforza ancora di più. I Tre Gioielli non sono concetti, sono la nostra vita.
Prendere rifugio nei Tre Gioielli
I praticanti cinesi e vietnamiti dicono sempre: «Torno a me stesso e mi affido al Buddha che è in me». Quell’aggiunta “che è in me” chiarifica che noi stessi siamo il Buddha. Quando prendiamo rifugio nel Buddha, dobbiamo anche comprendere che «Il Buddha prende rifugio in me». Senza la seconda frase, la prima non è completa. C’è un verso che possiamo recitare quando piantiamo un albero o una pianticella:
Mi affido alla Terra,
la Terra si affida a me.
Mi affido al Buddha,
il Buddha si affida a me.
Piantare un seme o una pianticella significa affidarli alla terra: la pianta vivrà o morirà a seconda della qualità della terra. Ma la terra stessa si affida alla pianta: ogni foglia che cade e si decompone aiuta il terreno a rimanere vivo. Quando prendiamo rifugio nel Buddha, affidiamo noi stessi al terreno della comprensione e il Buddha affida se stesso a noi per manifestare quella comprensione, quell’amore e quella compassione che lo mantengono vivo nel mondo. Ogni volta che sento qualcuno recitare: «Prendo rifugio nel Buddha», sento anche: «Il Buddha prende rifugio in me».
Tornando a me stesso, prendendo rifugio nel Buddha che è in me faccio voto, insieme a tutti gli esseri,
di realizzare la Grande Via allo scopo di generare la mente suprema (bodhicitta).Tornando a me stesso, prendendo rifugio nel Dharma che è in me, faccio voto, insieme a tutti gli esseri,
di realizzare comprensione e saggezza immense come l’oceano.Tornando a me stesso, prendendo rifugio nel Sangha che è in me, faccio voto, insieme a tutti gli esseri,
di cooperare alla costruzione di un Sangha privo di ostacoli.
Negli ultimi mesi di vita, il Buddha ha ripetutamente insegnato: «Prendete rifugio in nessun altro che in voi stessi. Ognuno di voi ha in sé il Buddha, il Dharma e il Sangha. Non cercate cose che si trovano molto lontano: è già tutto nel vostro cuore. Siate un’isola per voi stessi».
Ogni volta che vi sentite confusi, arrabbiati o persi, se praticate il respiro consapevole e ritornate all’isola del vostro sé, vi troverete in un luogo sicuro, pieno di sole caldo, di alberi frondosi e di splendidi uccelli e fiori. Il Buddha è la nostra consapevolezza, il Dharma è il nostro respiro conscio, il Sangha è i nostri “cinque aggregati” che funzionano in armonia.
Se mi trovo in aereo e il pilota annuncia che stiamo precipitando, praticherò il respiro consapevole recitando i Tre Rifugi. Spero che farai la stessa cosa la prossima volta che riceverai una cattiva notizia; ma non aspettare un momento critico per tornare alla tua isola del sé: se la pratica diventa un’abitudine, quando sorgeranno difficoltà ti sarà facile metterti in contatto con i Tre Gioielli dentro di te. Camminare, respirare, mangiare in consapevolezza e sedere in meditazione sono tutti modi di prendere rifugio. Non è fede cieca: è una fede basata sulla tua esperienza personale.
Certo, i libri di Dharma e le cassette registrate con i discorsi del Maestro hanno valore, ma il vero Dharma si rivela per mezzo della tua vita e della tua pratica. Ogni volta che si praticano le Quattro Nobili Verità e il Nobile Ottuplice Sentiero, è in azione il Dharma vivente. Si dice che ci siano ottantaquattromila porte del Dharma: la meditazione seduta è una di esse, la meditazione camminata è un’altra. Prendere rifugio nel Dharma significa scegliere le porte più appropriate per noi. Il Dharma è grande compassione, comprensione e amore. Per realizzare queste qualità abbiamo bisogno di un Sangha.
L’importanza del Sangha
Il Sangha è composto dalla quadruplice comunità: monaci, monache, laici e laiche, e anche dagli altri elementi che ci sostengono nella pratica: il cuscino da meditazione, il sentiero nel quale pratichiamo la meditazione camminata, gli alberi, il cielo, i fiori. Nel mio Paese si dice che una tigre che lasci la sua montagna per scendere nella pianura, verrà catturata dagli uomini e uccisa. Quando un praticante abbandona il Sangha, potrebbe abbandonare anche la pratica e “morire” in quanto praticante. È essenziale praticare insieme a un Sangha: anche se apprezziamo profondamente la pratica, potrebbe essere difficile continuare senza il sostegno degli amici.
Vale decisamente la pena di investire energie in un Sangha. Se semini in un terreno arido, a germogliare saranno ben pochi semi; ma se selezioni una terra fertile e vi investi i tuoi meravigliosi semi, il raccolto sarà abbondante e redditizio. Costruire un Sangha, sostenerlo, frequentarlo, riceverne l’aiuto e la guida è una vera pratica. Noi abbiamo gli occhi individuali e gli occhi del Sangha: quando un Sangha illumina della propria luce i nostri punti di vista personali, vediamo con più chiarezza. Nel Sangha non cadiamo nei soliti schemi di comportamento negativi. Non ti allontanare dal tuo Sangha, anzi prendi rifugio in lui, e avrai il sostegno e la saggezza di cui hai bisogno.
Quando i membri di un Sangha vivono in armonia, il loro Sangha è sacro. Non pensare che il titolo di Santità sia riservato al Papa o al Dalai Lama; la santità è anche in te e nel tuo Sangha. Dove una comunità medita, respira, cammina e mangia insieme in consapevolezza, là c’è santità. Quando formate un Sangha che ha in sé felicità, gioia e pace, vedete gli elementi della santità nel Sangha. Il re Prasenajit, buon amico e discepolo del Buddha, gli disse: «Guardare il tuo Sangha mi fa credere nel Buddha e nel Dharma». Guardava i monaci e le monache, calmi, pieni di pace e di gioia, liberi, che camminavano, si fermavano in piedi e sedevano in consapevolezza, e in loro vedeva il Buddha e il Dharma. Il Dharma e il Sangha sono porte attraverso le quali entriamo nel cuore del Buddha.
Un giorno il Buddha andò con Ananda a un monastero, nel Kośala. Tutti i monaci erano fuori per la questua tranne uno, malato di dissenteria: giaceva esausto, gli abiti e il letto sporchi di escrementi. Quando il Buddha lo vide, gli chiese: «Dove sono andati gli altri monaci? Perché non c’è nessuno che si occupi di te?» Il monaco malato rispose: «Signore, tutti i miei confratelli sono fuori per il giro di questua. All’inizio si prendevano cura di me, ma visto che non miglioravo ho detto loro che avrei fatto da solo». Il Buddha e Ananda gli fecero un bagno, pulirono la sua stanza, lavarono i suoi abiti e gli fecero indossare un abito pulito. Quando i monaci tornarono, il Buddha disse loro: «Amici, se non ci occupiamo l’uno dell’altro, chi si occuperà di noi? Se vi occupate gli uni degli altri, vi occupate del Tathāgata».
Esistono gioielli autentici e gioielli falsi; se qualcuno vi dà insegnamenti che contraddicono i Tre Sigilli – impermanenza, non sé e nirvana – sappiate che quello non è Dharma autentico. Se una comunità ha presenza mentale, pace, gioia e libertà, quella è un vero Sangha. Un Sangha che non pratichi la presenza mentale e che non sia libero, pieno di pace e di gioia, non può essere detto un vero Sangha. Anche il Buddha può essere vero o falso. Nel Sutra del Diamante il Buddha afferma: «Se mi cercate nelle forme e nei suoni, non troverete mai il Tathāgata».
Il Tre Gioielli inter-sono
Guardando uno qualsiasi dei Tre Gioielli, vedi gli altri due.
Il Buddha, il Dharma e il Sangha inter-sono. Se cerchi il Sangha, stai cercando anche il Buddha. Quando il tuo Sangha è felice e avanza nella pratica, la sua santità cresce e la presenza del vero Buddha e del vero Dharma si fa via via più evidente. Quando cammini in presenza mentale, ti stai prendendo cura del Dharma. Quando fai la pace con un altro membro del tuo Sangha, ti stai prendendo cura del Buddha. Andare nella sala di meditazione, offrire un bastoncino d’incenso e pulire l’altare non sono i soli modi di prendersi cura del Buddha: lo sono anche prendere qualcuno per mano o confortare qualcuno che soffre. Quando entri in contatto con il vero Sangha, tocchi anche il Buddha e il Dharma: quest’ultimo non può esistere senza un Buddha e un Sangha. Come potrebbe esserci un Dharma se non ci fossero coloro che lo praticano? Anche un Buddha è un Buddha quando ha in sé il Dharma. Ogni gioiello contiene gli altri due. Quando prendi rifugio in un gioiello, prendi rifugio in tutti e tre. Te ne puoi rendere conto in ogni momento della vita.
La tradizione richiede che si recitino i Tre Rifugi per tre volte consecutive. Durante la prima recitazione ci volgiamo verso una maggiore consapevolezza, comprensione e amore; durante la seconda cominciamo a incarnare i Tre Gioielli. Quando li recitiamo per la terza volta, facciamo voto di aiutare gli altri a realizzare la Via della comprensione e dell’amore e a divenire fonte di pace.
I nostri problemi, al giorno d’oggi, non sono semplici come quelli che incontrava il Buddha. Nel ventunesimo secolo dovremo praticare la meditazione collettivamente, come famiglia, città, nazione, comunità di nazioni. Il Buddha del ventunesimo secolo – Maitreya, il Buddha dell’amore – forse non sarà un individuo ma una comunità. I Sangha che praticano la gentilezza amorevole e la compassione sono proprio i Buddha di cui abbiamo bisogno. Possiamo preparare il terreno per la nascita di quel Buddha, per la salvezza nostra e di innumerevoli altri esseri, trasformando la nostra personale sofferenza e coltivando l’”arte della costruzione del Sangha”. E il lavoro più importante che si possa fare.
Il Buddha è il maestro che mostra la Via,
il perfettamente risvegliato,
seduto in modo splendido, in pace e sorridente,
la sorgente viva della comprensione e della compassione.
Il Dharma è il sentiero visibile
che conduce fuori dall’ignoranza,
riportandoci
a una vita risvegliata.
Il Sangha è la meravigliosa comunità
che pratica la gioia,
realizza la liberazione,
dà pace e felicità alla vita.
Prendo rifugio nel Buddha,
colui che mi indica la Via in questa vita.
Prendo rifugio nel Dharma,
la via della comprensione e dell’amore.
Prendo rifugio nel Sangha,
la comunità che vive in armonia e in consapevolezza.
Dimorando nel rifugio del Buddha, vedo con chiarezza il sentiero della luce e della bellezza nel mondo.
Dimorando nel rifugio del Dharma, imparo ad aprire molte porte sulla Via della trasformazione.
Dimorando nel rifugio del Sangha, sono sostenuto dalla sua luce che splende, liberando la mia pratica dagli ostacoli.
Prendendo rifugio nel Buddha che è in me, aspiro ad aiutare tutti a riconoscere la propria natura risvegliata é a realizzare lo stato mentale dell’amore.
Prendendo rifugio nel Dharma che è in me, aspiro ad aiutare tutti a percorrere la via della pratica e a camminare insieme sul sentiero della liberazione.
Prendendo rifugio nel Sangha che è in me, aspiro ad aiutare tutti a costruire quadruplici comunità e a favorire la trasformazione di tutti gli esseri.»
– Thich Nhat Hanh (amazon)
– Thich Nhat Hanh (macrolibrarsi)
– Thích Nhất Hạnh – Wikipedia
– Associazione Essere Pace