Ai fini di una corretta – o, per lo meno, incisiva – pratica meditativa l’immaginario – l’insieme di ciò che in genere si vagheggia – non va represso tout court prim’ancora di nascere, tutt’altro, i contenuti mentali che si avvicendano all’orizzonte della consapevolezza andrebbero via via osservati con cura, metodica e paziente attenzione. Ciò non significa che sia comunque utile prefigurarsi alcunché. Quando ci separiamo pure dalla nostra stessa immaginazione le possibilità di risveglio diventano ben più concrete, osserva laconico Roland Yuno Rech … ma leggiamolo per esteso.
«Poco fa qualcuno ha posto una domanda relativa all’immaginario. In zazen non cerchiamo di sopprimere l’immaginario. Al contrario, concentrandoci sulla postura, sull’espirazione, osserviamo il sorgere delle immagini, d’istante in istante, come bolle che risalgono dalla profondità dell’acqua. In genere si considera l’immaginario qualcosa di falso. Nel buddhismo esiste l’immagine a proposito dei fiori di vacuità che dice: “Quando qualcuno ha gli occhi malati, vede dei fiori nel cielo”, oppure qualcuno che ha bevuto troppo o preso dell’LSD vede nel cielo cose che non esistono. In realtà la nostra pratica consiste nell’osservare kūge, i fiori nel cielo, ma nell’osservarli con una visione ripristinata, senza sopprimerli. Vedere realmente i nostri fiori di vacuità, vedere le nostre immaginazioni in quanto tali diventa satori.
Esiste una forma di immaginazione che deriva dalla pratica stessa, ed è quella che consiste nell’immaginare il satori come questo o come quello, cercando a tutti i costi di rendere la nostra pratica simile a ciò che abbiamo immaginato. Tutto ciò che immaginiamo riguardo alla realizzazione non è di alcun aiuto per la realizzazione. L’autentica realizzazione non assomiglia mai all’idea preliminare che ce ne siamo potuti fare, poiché significa solo vedere, ma vedere con una visione ripristinata.
Qualcuno mi ha fatto notare che dicevo spesso “vedere dal punto di vista di zazen”. È proprio per spiegare che non si tratta di vedere attraverso la nostra coscienza ordinaria che si attacca agli oggetti, ma vedere estinguendo lo spirito che crea una separazione tra soggetto ed oggetto. Tokusan aveva avuto un lungo mondō col Maestro Ryūtan. Alla fine Ryūtan gli diede una candela per raggiungere la sua camera. Nel momento in cui Tokusan l’afferrò, Ryūtan spense la fiamma. Istantaneamente tutte le immagini, tutti gli oggetti scomparvero e in questa oscurità si fece la luce. Tokusan poté abbandonare il suo spirito complicato, il suo attaccamento alla sua immaginazione. Realizzò completamente il risveglio.
Il punto di vista di zazen è la luce che brilla nell’oscurità. Non bisogna cercare di far somigliare la realtà alla nostra immaginazione, ma accettare di penetrare l’ignoto, entrare nella Via che non può essere tracciata, né immaginata in anticipo.»
(Sesshin di L’Arche diretta dal Maestro Roland Yuno Rech, Yui Butsu yo Butsu – Da Buddha a Buddha, Capitolo dello Shōbōgenzō del Maestro Dōgen, Venerdì 26 maggio 1995, kusen delle 20:30)
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– Roland Yuno Rech — Wikipédia (wikipedia.org)
– Sesshin – Wikipedia
– Fonte