Nel profondo silenzio dell’essere, dove il tumulto dei pensieri si acquieta e l’onda delle emozioni si placa, si trova il sacro santuario della meditazione. Qui, lontano dalle distrazioni del quotidiano, l’individuo si immerge nella realtà concreta, abbandonando le astrazioni per un incontro autentico con l’essenza della vita. La meditazione, come ci insegna Pablo d’Ors, non è un semplice esercizio di contemplazione, ma un atto di dedizione totale all’esperienza presente, una resa all’ineffabile mistero che avvolge ogni istante. Attraverso la pratica meditativa, si apprende l’arte dell’abbandono, si accoglie il dolore come maestro e si celebra ogni minima sensazione come una porta verso l’illuminazione. Questo viaggio interiore ci guida a vivere in armonia con noi stessi, scoprendo la felicità nascosta nei gesti più semplici e quotidiani.
“Riconosco che passo buona parte delle mie sedute a sognare a occhi aperti; ammetto anche che questo vagheggiare mi risulta, in generale, abbastanza gradevole. Ma […] non è meditazione. […] Viviamo ebbri di idee e ideali, confondendo vita e fantasia. […]
La meditazione ama la concretezza e respinge l’astrazione. Chi abbandona la chimera dei sogni, entra nella patria della realtà. […] Il sogno sfugge sempre: è evanescente, intangibile. La realtà invece non scappa, siamo noi a scappare da lei. Meditare significa tuffarsi di testa nella realtà e fare un bagno nell’essere. […]
Non manipolare, limitarsi ad essere quel che si vede, si sente e si tocca: su questo si fonda la felicità della meditazione […].
Camminare con l’attenzione desta, per esempio, o lavarsi i denti con attenzione: percepire il flusso dell’acqua, il suo rinfrescante contatto con le mani, il modo in cui chiudo il rubinetto, il tessuto dell’asciugamano… Ogni sensazione, per minima che sembri, è degna di essere esplorata. L’illuminazione […] si nasconde nei fatti più minuscoli […]. Vivere bene implica essere sempre a contatto con se stessi […].
Non ambisco a contemplare, bensì a essere contemplativo, che equivale a esistere senza aspirazioni. [.. .]
Più che aiutare a trovare quel che si cerca, lo sforzo tende a impacciarci. Non conviene resistere, bensì lasciarsi andare, arrendersi con dedizione. Non insistere nello sforzo, bensì vivere nell’abbandono. Sia l’arte sia la meditazione nascono sempre dalla resa, mai dallo sforzo. E lo stesso succede con l’amore. Lo sforzo mette in funzionamento la volontà e la ragione; la resa, invece, la libertà e l’intuizione. […] L’unica cosa necessaria per questa resa con dedizione è essere lì, a captare quel che appare, qualunque cosa sia. La meditazione è come un rigoroso addestramento all’abbandono e all’abnegazione.
Sicché non c’è nulla da inventare, basta ricevere […]; e poi, questo sì, darlo agli altri. I grandi maestri sono, senza eccezione, grandi recettori. […]
Lo zen educa al rispetto verso la realtà. E la realtà non verrebbe rispettata se, in ultima istanza, non fosse considerata misteriosa. La meditazione aiuta a comprendere che tutto è un mistero […]. Oggi penso che per chi medita non c’è distinzione tra sacro e profano. […]
Reagire al dolore con ostilità lo converte in sofferenza. […] Nessuno mette in dubbio che il dolore sia odioso, ma accettare il fastidio e abbandonarvisi senza resistenza è il metodo giusto per renderlo meno sgradevole. Ciò che ci fa soffrire sono le nostre resistenze alla realtà. […]
Per ottenere questa connessione con il dolore bisogna fare esattamente l’opposto di quel che ci hanno insegnato: non correre, ma fermarsi; non sforzarsi, ma abbandonarsi; non proporsi mete, ma stare semplicemente lì. […]
Il dolore è il nostro principale maestro. La lezione della realtà – che è l’unica degna di venire ascoltata – non si impara senza dolore. La meditazione non ha per me niente a che vedere con un ipotetico stato di imperturbabilità, come molti la intendono. Si tratta piuttosto di un lasciarsi lavorare dal dolore […]. La meditazione è quindi l’arte della resa. […] Se nel mondo ci viene insegnato a chiuderci al dolore, nella meditazione ci si insegna ad aprirsi a lui. La meditazione è una scuola di apertura alla realtà.
Per quel che ho appena scritto, non sembrerà strano che la meditazione in silenzio e quiete sia stata accusata di sofisticato masochismo. In effetti, si arriva a un punto in cui si desidera sedersi tutti i giorni con la propria porzione di dolore: frequentarlo, conoscerlo, addomesticarlo.”