Le cosiddette credenze, in particolar modo quelle religiose – o presunte tali –, nel corso dei secoli si avvicendano di continuo. Tuttavia credere – al contrario di quanto si pensi – non favorisce – in ogni caso – l’intuizione della realtà ultima. Anziché facilitarne la comprensione potrebbe finanche distoglierci dal centrare l’obbiettivo della ricerca, la Verità. Viceversa la cosiddetta fede è, in ultima analisi, un elemento invariante della consapevolezza. Di primo acchito potrebbe sembrare un concetto ostico. Approfondiamolo dunque con le stesse parole di Alan W. Watts …
«La realtà che corrisponde a ‘Dio’ e alla ‘vita eterna’ è genuina, palese, chiara e aperta allo sguardo di tutti. Ma per vederla è necessaria una correzione della mente, proprio come per avere una migliore visione è a volte necessaria la correzione degli occhi. La scoperta di questa realtà è ostacolata piuttosto che agevolata dal fatto di credere.
Qui va fatta una chiara distinzione tra credenza [belief] e fede [faith], perché nella pratica generale la credenza ha assunto il significato di uno stato d’animo che è quasi l’opposto della fede.
La credenza nel senso in cui uso il termine qui, è il sostenere che la verità è ciò che si ‘preferirebbe’ o si desidererebbe che fosse. Il credente aprirà la mente alla verità a condizione che essa si adegui alle sue idee e ai suoi desideri preconcetti.
La fede invece è l’apertura incondizionata della mente alla verità, qualunque essa possa risultare. La fede non ha preconcetti; è un tuffo nell’ignoto.
La credenza si aggrappa, ma la fede lascia andare. In questo senso del termine, la fede è la virtù essenziale della scienza, come pure di ogni religione che non sia un autoinganno. La maggior parte di noi credono per sentirsi sicuri, per dare valore e significato alla loro vita individuale. Credere è quindi un tentativo di aggrapparsi alla vita, di afferrarla e tenersela stretta.
Ma è impossibile capire la vita e i suoi misteri se si cerca di afferrarla. Non la si può afferrare, proprio come non si può portar via un fiume in un secchio. Se cerchiamo di mettere nel secchio l’acqua che scorre, è chiaro che non la capiamo e che resteremo sempre delusi, perché nel secchio l’acqua non scorre. Per ‘avere’ l’acqua che scorre dobbiamo lasciarla andare e lasciarla scorrere.
Avviene la stessa cosa per quanto riguarda la vita e Dio.
L’attuale fase del pensiero e della storia umani è particolarmente matura per questo ‘lasciar andare’. La nostra mente vi è stata preparata proprio da questo crollo delle credenze in cui abbiamo cercato sicurezza.
Da un punto di vista che, per quanto ciò possa sembrare strano, collima perfettamente con certe tradizioni religiose, questa scomparsa delle vecchie rocce e dei vecchi assoluti non è affatto una calamità, ma è piuttosto una benedizione. Quasi ci costringe ad affrontare la realtà con mente aperta, e possiamo conoscere Dio solo con la mente aperta, proprio come possiamo vedere il cielo solo attraverso una finestra trasparente. Non lo vediamo se abbiamo verniciato il vetro di blu.
Ma le persone ‘religiose’ che si oppongono alla raschiatura della vernice dal vetro, che guardano con paura e sfiducia all’atteggiamento scientifico e confondono la fede con l’attaccamento a certe idee, ignorano curiosamente le leggi della vita spirituale che potrebbero trovare proprio nelle loro testimonianze tradizionali.
Lo studio accurato della religione e della filosofia spirituale comparate rivela che l’abbandono della fede, di ogni attaccamento a una vita futura personale e di ogni tentativo di sfuggire alla finitezza e alla morte, è uno stadio regolare e normale nel cammino dello spirito.»
(Da: “La saggezza del dubbio”, Alan W. Watts)
– Alan W. Watts – Macrolibrarsi.it
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– Alan Watts – Wikipedia