L’ego o – come lo denomina in questo contesto Jiddu Krishnamurti – il sé, si atteggia spesso ad artefice, promotore ed organizzatore dell’intero palcoscenico sociale, per non parlar poi dell’inveterata pressione che esercita sulle dinamiche psicologiche soggettive. Per fortuna si tratta solo di una misera ed effimera comparsa che, per quanto rovinosa, è piuttosto labile. In pratica la sua funzione è soprattutto contigua, verte solo sulla contingenza ed è tanto epidermica quanto temporanea, una sorta di handicap a cui, con le dovute accortezze, si può rimediare. Ciò non toglie che bisogna diventarne pienamente consapevoli e non solo per non rimanere in balia della sua oltraggiosa, spudorata presunzione, ma per rinvenire se stessi, la propria vera e incontaminata natura all’origine, quella che taluni maestri di meditazione indicano come l’essenza. Il modo migliore, secondo il nostro emerito autore, per bypassarlo è, soprattutto, riconoscere la sua invereconda tendenza accentratrice e smascherarlo. Proviamo, quindi, a rinunciare per qualche breve frangente al finto senso di sicurezza che ci offre la reiterazione ad oltranza delle più banali consuetudini, ossia che ci promette la familiarità con tutto ciò che è noto e accogliamo l’ignoto, l’incommensurabile, che però esiste solo nella nostra più fervida fantasia, per concretizzare quel disegno che può realizzarsi solo in pratica … l’amore.
«Tra i molti modi in cui il sé si manifesta ci sono l’ambizione, l’imposizione di un’autorità, la ricerca del potere. Ma quello che veramente importa è capire che cos’è il sé. E, se me lo permettete, vorrei aggiungere che dobbiamo affrontare la questione con molta serietà, perché ritengo che voi ed io, se smettessimo di considerarci persone appartenenti ad un gruppo, ad una certa classe sociale, ad una determinata società, abituate a vivere in una particolare zona climatica e comprendessimo il problema che ci sta di fronte, agendo di conseguenza, potremmo realmente produrre una vera rivoluzione.
Il sé tende costantemente ad espandersi, ad universalizzarsi, a creare organizzazioni sempre più sofisticate, nelle quali si fonde e si protegge. Ma se voi ed io fossimo esseri umani capaci di amare ed esprimessimo questo amore nella vita di tutti i giorni, allora ci sarebbe quella rivoluzione che è assolutamente essenziale…
Sapete che cosa intendo con il termine “sé”? Intendo il “me”, i ricordi, le convinzioni, le esperienze, le varie intenzioni nominabili o innominabili, lo sforzo intenzionale di essere o il non essere qualcosa, la memoria accumulata nell’inconscio riguardante l’appartenenza ad una razza, ad un gruppo, ad una famiglia e via di seguito. Tutto questo può manifestarsi esteriormente nell’azione o assumere sul piano spirituale l’aspetto di una virtù; questo complicato processo e lo sforzo che esso comporta costituiscono il sé, che implica necessariamente la competizione e il desiderio di essere. E quando ci troviamo di fronte a questo processo, ci rendiamo conto che è male. Uso intenzionalmente questa parola, perché il sé provoca divisione ed un processo autolimitante; qualunque cosa faccia, opera nella frammentazione e nell’isolamento. Lo sappiamo bene. E sappiamo anche quanto siano straordinari i momenti in cui il sé non c’è, quando cadono ogni tensione e ogni sforzo. Questo accade quando c’è amore.»
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– Krishnamurti (macrolibrarsi)
– Jiddu Krishnamurti – Wikipedia
– Krishnamurti.it
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