Quanto più vivi nella periferia dell’essere – te stesso –, tanto più sei identificato con il mondo. Perché ne parlo? Dialogavo con una persona amica quando d’improvviso mi sono sentito profondamente ferito.
“Oddio!”, mi sono chiesto, “dov’è finita la meditazione e la conseguente pseudo-centratura, il distacco emotivo, ossia quella sensazione di relativa purezza che ti aiuta a non sentirti coinvolto a ogni piè sospinto?”. È finita in un triste dimenticatoio, collassata d’improvviso per un banale nonnulla. Quindi, impugnata la versatile e innocente penna d’antico difensore delle cause perse ho cercato di chiarirmi le idee.
Il bastone zen dell’illustre maestro invisibile, alias l’inveterata coscienza che accompagna volentieri i meno svegli, non aveva colpito di rimbalzo. In pratica me l’ero cercata. Se sei distratto e nutri troppa fiducia nel prossimo, quegli ti risarcisce di converso per aiutarti a esser perlomeno più attento, per ricondurti a te stesso “senza se e senza ma” e rammentarti che la meditazione, come peraltro la preghiera, traccia si una via di consapevolezza, bontà e compassione, la via verso la luce, ma sei sempre tu, in prima persona, a doverla percorrere.
Le lezioni che impartisce la vita, piaccia o meno, sono comunque inevitabili. Infine ho sorriso e ringraziato l’amico fat(u)o che mi aveva aiutato a non dormire.