3° – Clandestino
Lo definiscono clandestino. Si, perché forse non riesce a nascondere la sua sete, la fame. E se fosse pervenuto sotto mentite spoglie? Se invece di un misero derelitto non fosse piuttosto quel Dio così tanto osannato in tutti questi splendidi e nitidi templi?
Se fosse? Ma egli, quel desolato miserabile spiantato è già quel Dio. Lo abbiamo dimenticato! Sicché allontanandolo, ricacciandolo indietro come belva famelica sorpresa a rubare poche briciole disperate di compassionevole soccorso, abbiamo allontanato un Buddha, il Cristo, Dio stesso.
Ciò che chiamiamo interventi per il benessere e la pace, contro la fame, sono solo finzioni. Tranne che in pochi rari e ammirevoli casi non si tratta d’interventi strutturali, cooperazioni organiche, ma di minuscoli infimi oboli elargiti per tacitare qualche coscienza, rassicurare la propria autostima, espandere talune influenze religiose settarie e avvantaggiarsi di ricchezze territoriali, di risorse.
Cosa rimane? L’amorevolezza, che non è un merito, ma un sorriso, una mano tesa per aiutare a risolvere e non una prece melliflua, una ipocrita simulata finzione. E infine nessun merito, alcun beneficio, proprio nulla, non ci sarà nessuno a serbarne il ricordo, a ricompensarci. Tranne, ovviamente, noi stessi.
(l’articolo è del 2004) Grazie per la cortese attenzione.