“Siete al corrente che non tutti gli esseri viventi del globo terracqueo presso cui siamo residenti condividono la medesima genesi? Non sono, cioè, necessariamente di origine autoctona! In altre parole, non tutti i nostri antenati nacquero sulla terra. Quelli delle rane zen, no di certo. Ma cos’è che rende possibile la convivenza interspecie?
Evidentemente esiste un imput esistenziale che ci accomuna e credo che per individuarlo bisogna risalire all’origine, a una sorta di super-mente, alla super-coscienza. Dopodiché la tecnologia spirituale comincerà a disvelare, via via, i suoi molteplici segreti. Tutto sommato, tra gli eso-mondi più idonei per investigare i risvolti arcani della vita, questo mi sembra tra i migliori.” Così disse la rana zen a se stessa, ossia alla folla d’incredibili identità che aveva collezionato nel corso delle sue molteplici e ridondanti rinascite.
“Ma cos’è che vuoi davvero?”, l’apostrofò il grillo che attraversava l’etere a 5 stelle in cui siamo già, pur senza esserne pienamente coscienti, già immersi.
“Voglio l’affetto e che ciascuno disponga almeno del minimo per poter sopravvivere. Poi, il resto, si vedrà …”, rispose la rana.
Sennonché sopraggiunse il maestro che rivolto al gruppetto di sonnolenti apprendisti disposti all’impossibile, ma ben poco a meditare, urlò: “Sveglia ragazzi, l’ora di ricreazione è finita!”
“Maestro, su cosa dovremmo meditare oggi?” chiese un’allieva.
“Sul nulla, figliola”, replicò il Venerabile.
La provetta discepola stava per ribattere, ma il precettore, con il suo imprevedibile non-fare, peraltro tipico del genere di non-istruttori cui presumiamo appartenesse, si era eclissato. Quell’angolo di Tempio fu invaso, tuttavia, da un perentorio fendente di provvida luce.