La rana zen s’avvicinò quatta quatta al vecchio monaco custode del tempio della non-mente, l’antica istituzione che accoglieva i senza-terra d’ogni dove, purché dediti all’inside cosciente.
– R. (rana): Maestro, ho bisogno del tuo illuminato parere.
– M. (monaco): Qui non vedo nessun maestro.
“Formidabile – rifletté la rana – gli sono bastate cinque parole per impartirmi la lezione odierna. Se sei davvero qui, presente al presente, a te stessa, ti rendi conto di essere fondamentalmente sola.
Ma non sforzarti di essere qui, accetta la solitudine – le parve dire la civetta appollaiata tra il rigoglioso fogliame della vecchia betulla nell’ampio giardino semi-zen che accoglieva i senza-radici purché si dimostrassero disposti a esplorare l’impossibile. Accetta la solitudine e sarai qui.”
E il maestro? Beh, quello rideva, ma non della rana o della sua sfrenata fantasia. Rideva perché sapeva … che la via non è andare dentro, oppure fuori, essere qui, cercare l’istante, accettare la solitudine, interpellare i maestri, interpretare i segni, giocare a rimpiattino con la coscienza, osservare il respiro, recitare i mantra, trastullarsi con se stessi. E tutto ciò, banalmente, perché … la via non c’é, non esiste, soprattutto, la via è immaginazione.