Nel sentiero interiore tracciato da chi pratica con attenzione, il concetto di “maestro” si dissolve in una nube di immagini spesso create dalla mente stessa. Invece di inseguire figure leggendarie dai tratti sovrumani, forse è più opportuno interrogarsi sulla natura delle proprie aspettative, su ciò che si cerca negli altri e sul bisogno – più o meno consapevole – di affidare la propria inquietudine a un volto esterno. La meditazione, in questo senso, non è tanto una fuga dalle domande, quanto uno spazio in cui lasciarle decantare. A volte, ciò che ci appare straordinario è solo il riflesso di un momento di presenza inattesa, di uno sguardo fugace che rompe l’abitudine, di un gesto semplice che risuona come un richiamo. È nel quotidiano, nell’ovvietà apparente di un incontro, che talvolta si schiude un varco, breve ma incisivo, dove si intuisce – senza afferrare – qualcosa che non ha nome. Non serve mitizzare né inseguire miraggi. Basta forse restare, ascoltare e accogliere i frammenti di senso che talvolta emergono anche da un silenzio condiviso con un passante qualunque.
Chi è un maestro? Una persona eccezionale che fa faville al suo solo apparire? Un individuo i cui passi non lasciano impronte e trasmette un sentore di letizia ovunque vada e in chiunque lo scorga? Oppure un tizio comune su cui sei tu a proiettare ogni sorta di fantasia e aspettativa? Non ne ho idea e forse è inutile sforzarsi di capire. Ora un breve aneddoto in versi realmente accaduto.
Viandante
L’aplomb con cui ti spacci
per saggio di prim’ordine
mi lascia annichilito
dinanzi tanto ardire.
Io che non metto in ombra
nemmeno una formica
rimango sconcertato
per tutti i derelitti
che speranzosi credono
nel tuo prodigio eterico.
Poi, dacché gli presi,
la mano nelle mani
e vidi aprirsi i celi,
svanire ogni malanno,
rimango speranzoso
che quel passante anonimo
incroci ancora e sempre
la mia stentata via.
Conclusione
Non sempre la guida si presenta con i tratti che ci attendiamo, né è detto che la saggezza indossi abiti riconoscibili. Talvolta si manifesta in una parola scambiata per caso, in una stretta di mano inattesa, in un attimo che si imprime senza clamore. Proprio lì, dove nulla sembrava indicare un significato, si apre un’eco che resta. Continuare a camminare con gli occhi aperti, senza pretendere risposte, è già una forma di vigilanza. E forse, in questo modo, il “maestro” che si cercava fuori comincia a parlare da dentro.