Chi più chi meno, di errori ne commettiamo un po’ tutti. La differenza sta, specialmente, nel persistere. Purtroppo rendersi conto di esser caduti nella trappola dell’abitudine – nel reiterare ad oltranza le medesime illusioni – non è sufficiente. In fin dei conti potrebbe trattarsi della più banale, se non basilare, delle necessità. Ma qui non ci occupiamo di ciascun errore in sé e nemmeno del motivo che lo suscita. Noi cerchiamo un rimedio spirituale. Fermo restando gli irrinunciabili stratagemmi adottati per superare l’alienazione che spesso e volentieri ci confina nei lager dell’inconsapevolezza, non ci occupiamo di alterità (oggettività, non-io). A noi interessa il Quid e non l’elisir succedaneo. Cos’è, un altro modo di chiamarlo Dio? O un diversivo per evitare di rifarsi al Cristo, se non al Buddha? Riconosco che, mio malgrado, ciascuno per il suo verso, li accetto tutti. Ne comprendo le velleità più intime ed esulto quando un raggio di luce ci coglie, ti coglie e poi sorridi.
Meditare sugli errori
Che cumulo di errori
affastellati o quasi,
come immensi mucchi di sabbia
dove ciascun granello è una svista,
una gaffe, un imperdonabile inganno.
Se non fosse che poi, tutto sommato,
son sempre qua, impassibile,
intento a osservare il semi-imbroglio
creato mio malgrado un po’ via via,
non crederei mai di essermi ostinato
in linea retta, per poi finire in tondo,
di più, nel fondo, nell’ignominia,
ben oltre un passo falso.
Ciò che mi resta dopo il gran percorso
– un mezzo pellegrino intento in nulla
se non vedere il tempo che poi slitta –:
lasciare il tutto e proceder oltre.
Ma dove se non qui dove sei già?
Amico, ignora quegli animi ribelli
che non concludon mai se non crear più polvere.
Tu va ben dritto, al nodo, al nucleo, al vertice
ch’è oggi, nel presente, ora che hai letto.