Il mio maestro non ha mai detto di essere un maestro. Figuriamoci, quindi, se mi considerasse un discepolo. In realtà era solo un monaco che avevo scelto di visitare periodicamente. Egli insegnava solo con l’esempio, con lo stile di vita. Non ti diceva mai cosa fare, ma sapevi sempre a cosa andavi incontro. Quando al mattino meditava – o pregava – potevi astenertene, ma lo seguivi. Quando al pomeriggio redistribuiva tutto il superfluo ricevuto dai visitatori lo aiutavi e ti sentivi migliore. Poi non potevi fare a meno di essere sincero con chiunque. Forse non era illuminato, ma la luce l’accompagnava sempre. Prima di lasciare questa vita mi chiese: “Non dire mai a nessuno il mio nome”. Il suo segreto spirituale? Qualunque cosa facesse la svolgeva con gioia, con cura e soprattutto arte. Perché te lo racconto? Provaci, è la via maestra d’accesso alla spiritualità.
La blusa blu
(paragoni impossibili)
La blusa blu del mio maestro
è quasi come la mia meditazione.
Innanzitutto la indossa solo quando ha molto freddo,
altrimenti rimane dimentica
sull’asettica spalliera in stile anni che furono
offerta agli sguardi straniti
della poliedrica tribù – di amici, amiche, nipoti e poi sorelle –
che l’osserva col naso a mezz’aria e mezzo scettica
pensando: “Poveretto, non ha di meglio”.
Senza sapere che quella blusa blu è così profonda
che per quanto la mia coscienza
ambisca a divenire oceanica
non riuscirà mai a eguagliarla.