Sakuladayi, monaco errante, chiese al Buddha: “Qual’è il passato? Qual e’ il futuro?”. “Lascia il passato dov’è” rispose il Buddha, “e dimentica il futuro. Io insegno quel che c’e’ adesso”. (Majjhima Nikaya)
Meditazione è vivere l’adesso, esperirlo qui e ora, presenti al presente, nuovi nel nuovo istante. La linea di confine tra cielo e terra è la stessa che ci separa dalla nostra interiorità. Può essere indicata, ma se tenti d’afferrarla ti sfugge. Ebbene, la meditazione è come quella demarcazione, esiste, ma non riesci a ubicarla. La meditazione è come la terra di nessuno della propria coscienza. Puoi conoscerla, sostenerla, tuttavia se ti aggrappi o provi a descriverla t’incagli tra le secche di una spiaggia senza arenile. Mentre dal di fuori sembra uno spazio vuoto, dal di dentro non è più nemmeno uno spazio. Oppure è così vasta che l’occupa tutto.
La meditazione non è uno stato di coscienza alterato, semmai è la coscienza stessa allorché, da percezione distratta, diventa consapevolezza. Ovverosia simultaneità con il proprio vissuto. Quando passato e futuro sono così vicini da non distinguersi più dal presente, per divenire un movimento unico, sempiterno, immobile nella sua perpetua fluidità, assoluto rispetto alla mutevolezza, relativo nei confronti della staticità, …
Meditare è cogliere nessi, per accorgersi che non esistono, scoprire che tutto è uno, senza, tuttavia, ritrovarcisi dentro. Vedere che gli oggetti della mente sono come i riflessi della luna nel pozzo. Se vuoi davvero la luna non rincorrerla tramite il pensiero, non fartene immagine, tanto meno idolo, vivila direttamente. Non giudicare (impara a sospendere il giudizio, sia quello positivo che negativo), non presupporre, cogli …! La realtà è conoscenza del duale, la verità intuizione dell’implicito, la meditazione li comprende entrambi! Le distinzioni si perdono per strada. La sua via è come una traccia sulla sabbia, una scia sull’acqua, un sentiero sulla neve. La meditazione è lo stato dell’aurora, o la condizione del crepuscolo, quell’attimo in cui non v’è più divisione tra giorno e notte, perché li abbraccia, l’uno e l’altro.
Meditare è come tentare di conoscere l’inafferrabile sé. Più t’avvicini, più lo perdi di vista. Ma se ti fermi, e attendi, l’acqua torbida del tuo laghetto interiore diverrà così chiara da riuscire a scorgervi persino le parvenze del fondo. Una luce senza origine, e trasecoli. Meditare è come fare la guardia all’incontrario. Osservi attentamente, e con scrupolo vigili che qualche inopportuno pensiero non giunga di soppiatto per sorprenderti e derubarti di ciò che comunque non ti appartiene nemmeno.
Sicché tu, che sei la mente, come il corpo, ti calmi. Li fissi nel contempo, li consideri entrambi. Vedi gli accadimenti che si succedono per comporre, ricomporre e scomporre i giochi perpetui d’una luce infinita. Più t’avvicini, più ne vedi il mosaico. Come un puzzle le cui tessere combaciano sempre, la cui perfezione non dipende dai dettagli, ma dall’insieme.
E osservi seduto, sulle rive dell’oceano, alla ricerca di un’isola di felicità che non esiste. Scruti indefesso, e persisti, ma non accade alcunché. Il fiore non si schiude, non v’è profluvio, men che meno di nulla. Che tristezza! La realtà è davvero impietosa, persino ignobile. Non sei unico, e nemmeno speciale. Non sei neppur degno del benché minimo ascolto. Il tutto t’ignora. Le circostanze si succedono rapidamente. Non ti resta di meglio che fermarti. Hai percorso senza sosta le mille miglia che vanno dal cuore alla ragione, e viceversa. Ti sei imbevuto delle più strane e assurde teorie, e ora …
Non si può dire che ogni cosa si fermi, né che rimanga immobile, perché tu diventi quella stessa fermezza, l’immobilità più totale. Anche se corri, non sei più tu a correre, è il tutto che corre per te. Ma forse è meglio dire che ogni evento concorre per realizzare il fine senza fine, l’immotivato. La meditazione ti consente d’appurare che l’essenza, la sostanza della vita, il suo fondamento, è fatto esclusivamente di gioia.