La preghiera non è un passatempo ozioso da vecchiette; correttamente capita e applicata è lo strumento d’azione più potente. (Mohandas Karamchand Gandhi)
La meditazione, la preghiera, sono pratiche contrapposte o possono esser considerate, in qualche modo, complementari? Si tratta, cioè, di esercizi spirituali alternativi, o si rivolgono a persone caratterialmente molto differenti? Quando parliamo di tecniche intendiamo – beninteso – il ricorso a stratagemmi che favoriscono il rilassamento, la calma, il raccoglimento (interiorizzazione dell’attenzione), il silenzio. I pensieri indisciplinati si attenuano consentendo una chiarezza altrimenti impossibile. Osserviamo – brevemente – alcune peculiarità – tra le più salienti – di meditazione e preghiera.
Meditazione
Uno dei più grandi errori commessi sovente da coloro che si avvicinano alla meditazione attratti da qualche libro o articolo è credere che meditare sia, sin dal principio, un esercizio passivo.
Il tranello è, forse, causato dall’associare, più o meno consapevolmente, il relax alla meditazione. In effetti il relax è solo una delle conseguenze più evidenti del raggiungimento di uno stato meditativo. Il problema, ma solo apparente, consiste, per l’appunto, nel tentativo di applicare le categorie del mondo fisico all’universo metafisico.
Meditare è oltrepassare temporaneamente la soglia del conosciuto per favorire l’esplorazione di un ambito soggettivo. Ma è proprio questa l’esitazione più ricorrente: lambire le rive infinite di un mare turchino temendo di avventurarsi sulla sua superficie inconsistente per paura di non riuscire a nuotare, di affogare come pesci pivelli.
Quell’ampia distesa opalina o, se preferite, quel vuoto infinito, l’eterno nulla attraverso cui si tenta di scorgere uno scoglio qualunque che possa fungere da utile approdo salvifico, o da ultima meta alternativa, è solo una percezione apparente, virtuale, inconsistente, ingannevole.
Si, giacché in realtà non v’é mare su cui navigare, né scoglio cui poter approdare, non v’é proprio nulla, nemmeno una meta fittizia o sfuggente. Cos’é, dunque, questo oceano pseudoalieno cui il vento della meditazione ci sospinge con infinita dolcezza e provvida sensibilità? Quegli è il mondo dell’informale, laddove tempo e spazio cedono il passo ai criteri dell’eternità.
Una bellissima “preghiera” buddista, il “Sutra del cuore”, afferma: “… il vuoto è forma, la forma è vuoto …”. Potremmo aggiungere che l’essenza della ricerca è il senza-forma. Speculazioni, metafore vane? Sarà, ma allorquando ci renderemo finalmente conto che la meditazione non consiste nel raggiungere una meta, avremo intuito un segreto tale da consentirci di percorrere vie e concepire aspirazioni ritenute impossibili.
La via per attingere un po’ di acqua fresca dal pozzo della vita è la meta di riuscire a essere straordinariamente normali. Un tale approccio non si contrappone affatto allo sforzo attivo, solerte e costante che esige giustamente la vita per affermarsi. Semmai ne è il complemento inseparabile, l’origine dell’energia a sostegno della vita medesima. Non più, pertanto, il consueto pozzo cui attingere per i propri bisogni essenziali, ma una sorgente che trabocca secondo necessità, esuberanza, calma silente, giusto o equanime distacco, vitalità.
Preghiera
In questa sede preferisco sorvolare sui suoi aspetti di supplica o proponimento. Forse, le vere preghiere non sono richieste di soccorso, bensì tranquille e silenti profferte di ringraziamento. Quindi accennerò ad un consiglio pratico che il mio insegnante di meditazione si prodigò di suggerirmi e che può essere utile, nell’esercizio di attenzione al flusso naturale del respiro, per quei temperamenti naturalmente predisposti ad una religiosità deferente, centrata innanzitutto sulle ragioni del cuore, ricolma di pietà e devozione. Riporto una sintesi del suo ragionamento:
“La preghiera è una tecnica di meditazione. La ripetizione ritmica, periodica, cadenzata, monotona di una certa formula favorisce l’insorgere di uno stato di coscienza alternativo. Qualora vengano ulteriormente soddisfatte o rispettate determinate condizioni particolari o contingenti, la preghiera così recitata diventa un esercizio meditativo.
I più importanti requisiti specifici sono un’attenzione vigile e puntuale ai propri pronunciamenti o pensieri, nonché l’assunzione di una postura consona, flessuosa e naturalmente eretta. L’attenzione vigile è indispensabile perché altrimenti la ripetitività della formula rituale potrebbe generare autoipnosi. Una posizione seduta, equilibrata, con la spina dorsale eretta, interferisce ben poco con i normali processi fisiologici.
Il mio suggerimento, pertanto, è il seguente: se l’idea ti aiuta considera la tua tecnica meditativa – ad esempio quella da noi preliminarmente adottata – l’attenzione continua al flusso del respiro, come una preghiera silente, priva di parole e senza pensieri. Il cielo che si dischiude quando il dominio costante della mente si attenua è … una preghiera dove le parole si sono esaurite o dissolte e la mente ha raggiunto una tranquillità tale da rendere vani i pensieri inutili o molesti.”
Epilogo
Non ho più nulla da dire. Ancora una volta sempre e solo chiacchiere. La spiritualità è soprattutto un fenomeno lineare. Se tenti di contraffarla t’inventi le più miserabili idiozie spacciandole per sacre. In realtà non esistono elementi specificatamente sacri se non la totalità, l’intero. O l’integro? Giochi verbali. Più sei totale e maggiori sono le possibilità di percepire l’intangibile. Mi riferisco a tutto ciò che viene indicato come divino. Tuttavia lo ammetto. Per quante arie possa darmi, nel tentativo di apparire razionale e obbiettivo, talvolta preferisco pregare.