Gli aforismi per meditare si susseguono come se nulla fosse. Qual è il loro vero scopo? Illuminare la mente? In realtà non v’è nulla da rischiarare se non far luce risvegliando la propria consapevolezza. Aiutare a riflettere e, quindi a meditare? Già detto, ancorché ribadito, grazie. A stimolare la propria comprensione in modo da lanciare uno sguardo al di là dei veli delle mere apparenze? Forse, non lo escludo. Tuttavia, per quanto mi riguarda, gli aforismi sono utili a impegnare, seppur per un breve frangente, la propria comprensione e, quindi, a mollare la presa, ad abbandonare i pensieri, a consentirgli che seguano il loro corso, a permettergli che s’intrattengano e allietino il paesaggio interiore fino a stancarsi di sé stessi e, di conseguenza, a rivelare l’integrità della coscienza – la sua natura essenziale – per “ciò che è” sempre stata, finanche prima di questo stesso pedissequo sproloquio.
Seguono aforismi di: Bhagavad Gita – Parabola indù – Mumon – Pai-chang – Sutta Nipata – Jae Woong Kim
La mente disunita è ben lungi dalla saggezza; come può meditare? Come può stare in pace? Se non trovate pace, come potete trovare la gioia? Quando lasciate che la mente obbedisca al richiamo dei sensi, questi vi portano via il giudizio, come le tempeste di mare portano la barca fuori rotta. (Bhagavad Gita 2:66-67)
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Un re chiese a un saggio di spiegargli la verità. Per tutta risposta, il saggio chiese al re come avrebbe potuto spiegare com’è il gusto del mango a una persona che non avesse mai mangiato nulla di dolce. Il re provò in ogni modo, ma non riuscì a descrivere adeguatamente il sapore del frutto e, nella frustrazione, chiese al saggio: “Ditemi, allora, come lo descrivereste voi!”. Il saggio prese un mango e lo diede al re dicendo: “Questo è molto dolce. Provate a mangiarlo!”. (Parabola indù)
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Daibai domandò a Baso: «Che cos’è il buddha? ». Baso disse: «Questa mente è il buddha». Un monaco domandò a Baso: «Che cos’è il buddha?». Baso disse: «Questa mente non è il buddha». Commento di Mumon: “Se qualcuno capisce questo, è un laureato in zen”. (Mumon)
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Aggrapparsi alla visione di sé stessi come Buddha, come Zen o come Via, facendone una comprensione, è detto attaccamento alla visione interiore. Il raggiungimento per mezzo di cause e condizioni, pratica e realizzazione, è detto attaccamento alla visione esteriore. Il maestro Pao-chih disse: “La visione interiore e la visione esteriore sono entrambe sbagliate”. (Pai-chang)
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Uno studente chiese: «Per tutta la gente diversa venuta ad ascoltare le tue parole, ti prego di spiegarci il modo in cui hai trovato e compreso». Il Buddha rispose: «Quando prendete le cose, ciò accade a causa d’una sete, di un’inclinazione e di un afferrare. Dovreste, invece, lasciar andare e lasciar andare del tutto, sopra di voi, sotto di voi, intorno a voi e dentro di voi. La cosa afferrata non fa alcuna differenza. Quando vi aggrappate, perdete la vostra libertà. Rendetevene conto e non aggrappatevi a nulla. Allora cesserete d’essere una creatura dell’attaccamento, in potestà della morte». (Sutta Nipata)
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Con le nostre menti piantiamo il merito e con le nostre menti commettiamo i crimini. Con le nostre menti imprimiamo le immagini. Questa mente è come un artista. Può disegnare qualunque cosa e ciò che disegna si realizza. Se cedete alle impressioni, alle idee, ai pensieri e così via fin dal momento in cui si presentano, senza imprimervele nella mente, le vostre menti non ne saranno alterate, come il fiore di loto non è alterato dall’acqua fangosa in cui cresce. (Jae Woong Kim, “Lucidando Il Diamante”)