Le storie sufi hanno sempre avuto il potere di trasmettere in modo semplice verità profonde sulle dinamiche umane. Tra queste, una lezione fondamentale emerge chiaramente: l’unione delle diversità crea forza. Nella vita spirituale, come nella quotidianità, spesso ci troviamo a sottovalutare ciò che possiamo ottenere insieme, preferendo un approccio solitario. Tuttavia, quando accettiamo di collaborare, scopriamo che le nostre debolezze possono trasformarsi in punti di forza grazie all’aiuto reciproco.
Nel contesto della meditazione e dello sviluppo personale, questa narrazione ci invita a riflettere sull’importanza dei gruppi ben assortiti. Ognuno di noi ha talenti e limiti che, combinati con quelli altrui, formano un tessuto armonioso capace di portare benefici a tutti. Non si tratta solo di raggiungere un obiettivo comune, ma di imparare a vedere l’altro come complementare alla nostra natura. Un maestro esperto sa come assemblare queste differenze, creando sinergie che vanno oltre le capacità individuali.
Chi crede di poter camminare da solo rischia di perdersi lungo il percorso, mentre chi riconosce la propria fragilità può trovare forza nel sostegno degli altri. Questa consapevolezza è il primo passo verso una progresso autentico e duraturo.
LO ZOPPO E IL CIECO (RACCONTO SUFI)
«C’era una volta in un caravanserraglio un uomo zoppo e mingherlino che piangeva.
Allora un altro avventore gli chiese perché si lamentasse tanto.
“Sono stato invitato a casa del sultano, ma essendo zoppo e non avendo cavalcature, certamente arriverò in ritardo”.
“La mia condizione è peggiore della tua. Sono cieco, infatti, e come te sono stato invitato a casa del sultano e di certo senza guida non potrò mai arrivare”, gli rispose l’altro.
Ma un terzo avventore disse: “Siete entrambi sciocchi, perché se vi rendeste conto che, insieme, potreste raggiungere il vostro obbiettivo, non perdereste certo il vostro tempo a discutere”.
Il cieco e lo zoppo rimasero perplessi.
“Ma certo”, continuò il terzo avventore: “È sufficiente che il cieco prenda in spalle lo zoppo che lo guiderà verso la strada giusta e insieme potrete arrivare in tempo alla casa del sultano”.
E infatti così fecero e raggiunsero il loro obbiettivo.
Per la cronaca nello stesso caravanserraglio c’era anche un muto pure lui invitato alla festa che non sapeva farsi capire e un sordo che non aveva sentito l’invito.
Anche loro, insieme, avrebbero potuto farcela, ma non trovarono nessuno a consigliarli.»
COMMENTO
«Questa storia è legata al nome dell’eminente sceicco sufi Farugi che morì nel 1615.
Farugi aveva raccolto l’antica tradizione che si stava disperdendo e fu riconosciuto come maestro da tutti gli ordini sufi.
L’unione fa la forza, certamente, ma ci sono altri piani interessanti.
Tra i sufi si considera importante l’energia che scaturisce da un gruppo ben assemblato, per il beneficio di tutti.
Anche la persona che sembra più intelligente può risultare di ingombro in un certo insieme, mentre una più apparentemente limitata, può rivelarsi idonea in quel gruppo.
E naturalmente ci vuole un maestro per sapere chi prendere e chi no, in quale tempo, con quali condizioni e con quali ambizioni.
Un’attività solitaria frequentemente è meno positiva rispetto a un lavoro all’interno di un gruppo ben assortito.
Spesso, inoltre, chi crede di potercela fare da solo non riuscirà mentre chi pensa di non riuscire da solo può farcela.
Anche qui è il maestro a valutare caso per caso e si ottengono risultati lavorando a beneficio degli altri senza aspettarsi alcunché.
Quante volte lo si dice nelle storie sufi!»
[ Da: Nove anni e nove mesi con un maestro sufi – Maurizio Cusani ]