Cosa significa meditare? Per molti, si tratta di una pratica spirituale che mira a raggiungere stati di coscienza alterati, a connettersi con il divino, o a liberarsi dal ciclo della sofferenza. Per altri, è una forma di terapia mentale che aiuta a gestire lo stress, l’ansia e le emozioni negative. Ma c’è un ulteriore modo di concepire la meditazione, che non si basa su credenze religiose o psicologiche, ma su una visione laica e pragmatica del dharma, l’insegnamento del Buddha. In questi appunti, lo scrittore e maestro buddhista Stephen Batchelor ci propone una definizione di meditazione che non ha nulla a che fare con il raggiungimento di esperienze mistiche o trascendenti, ma con l’abbracciare pienamente la realtà del qui e ora, con tutte le sue sfumature, contraddizioni e sfide. Meditare vuol dire abbracciare quel che sta accadendo a quest’organismo – mentre è in contatto con il suo ambiente – in questo preciso momento. Meditare vuol dire esperire il sublime quotidiano, la meraviglia e, al contempo, il terrore di essere vivi in un mondo eccessivo e mutevole. Meditare vuol dire coltivare una sensibilità etica ed empatica verso sé stessi e gli altri, invece di reagire in modo automatico e condizionato alle molteplici e mutevoli situazioni che via via potrebbero avvicendarsi. Meditare vuol dire ripensare il dharma per un’epoca laica, senza dogmi né autorità, ma con curiosità e creatività. Se ti interessa scoprire questa prospettiva originale e stimolante sulla meditazione, ti invitiamo a leggere il prosieguo …
«La meditazione ha la sua origine e il suo culmine nel sublime quotidiano. Mi interessa poco ottenere stati di concentrazione prolungata in cui alla ricchezza sensoriale dell’esperienza si sostituisce la pura estasi introspettiva. Non mi interessa recitare dei mantra, visualizzare Buddha o mandala, avere esperienze extracorporee, leggere la mente degli altri, fare sogni lucidi, o canalare le energie psichiche nei cakra, tanto meno lasciare che la mia scienza sia assorbita nella perfezione trascendente del Non condizionato.
Meditare vuol dire abbracciare quello che sta accadendo a quest’organismo mentre è in contatto con il suo ambiente in questo momento. Non rifiuto l’esperienza mistica. Respingo soltanto l’idea che il mistico si nasconda dietro mere apparenze, che sia qualcosa di diverso da ciò che accade nel tempo e nello spazio proprio in questo momento. Il mistico non trascende il mondo, lo impregna. “Non come il mondo è, è il mistico”, notò Ludwig Wittgenstein nel 1921, “ma che esso è” .
Secondo Edmund Burke e i poeti romantici, il sublime supera la nostra capacità di rappresentarlo. Il mondo è eccessivo: ogni filo d’erba, ogni raggio di sole, ogni foglia che cade sono eccessivi. Nessuna di queste cose può essere resa adeguatamente da concetti, immagini o parole; ci sopravanza, traboccando oltre i confini del pensiero. La loro sublimità porta la mente che pensa e che calcola ad arrestarsi, lasciandoci senza parole, sopraffatti dalla meraviglia o dal terrore. Eppure per noi esseri umani che gioiamo e ci esaltiamo nel nostro posto, che desideriamo la sicurezza, la certezza e la consolazione, il sublime è esiliato e dimenticato. Come conseguenza, la vita è resa opaca e piatta. Ogni giorno si riduce alla ripetizione di azioni e di eventi familiari, che offrono un conforto insipido, privo dell’intensità che desideriamo e temiamo allo stesso tempo.
Sperimentare il sublime quotidiano ci impone di smantellare il condizionamento percettivo che ci costringe a vedere noi stessi e il mondo come oggetti fondamentalmente confortevoli, permanenti, solidi e ‘miei’. Sperimentare il sublime significa abbracciare la sofferenza e il conflitto invece di rifuggirli, e coltivare l’attenzione incarnata che contempla le dimensioni tragiche, mutevoli, vuote e impersonali della vita, invece di soccombere alle fantasie dell’autoglorificazione o del disprezzo per se stessi. Questo richiede tempo. È una pratica che dura tutta la vita.
Il sublime quotidiano è la nostra vita ordinaria sperimentata dalla prospettiva del quadruplice compito. Come abbiamo visto, esso comporta:
- abbracciare sinceramente la totalità della nostra situazione esistenziale;
- lasciar andare gli abituali schemi reattivi di pensiero e di comportamento scatenati da quella situazione;
- apprezzare in modo consapevole i momenti in cui le reazioni si placano, e
- un impegno verso lo stile di vita che emerge da tale quiete, e risponde alla situazione che ci si presenta in maniera empatica, etica e creativa.
Vista così, la meditazione non riguarda il padroneggiare procedure tecniche che promettono di ottenere conseguimenti che corrispondono ai dogmi di una certa ortodossia religiosa. Il suo scopo non è neanche ottenere una comprensione privilegiata e trascendente della natura assoluta della realtà, della mente, o di Dio. Alla luce del quadruplice compito, la meditazione è coltivare in modo costante una sensibilità, un modo di prendersi cura di ogni aspetto dell’esperienza, all’interno di un quadro di valori e obiettivi etici.»
(Da: Stephen Batchelor, “Dopo il buddhismo. Ripensare il dharma per un’epoca laica“)
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– Stephen Batchelor (macrolibrarsi)
– Stephen Batchelor – Wikipedia