Il fatto che la maggior parte degli esseri senzienti di classe umana – consentitemi, per una volta almeno, codesto intercalare semiserio o, se preferite, un po’ ampolloso – non esprimano, giammai, la loro vera natura, è arcinoto. Cos’è che ci cela dietro le quinte di un’apparenza talora ingenua, talaltra finanche inconsapevole? La nostra straordinaria, quanto umile, natura primeva, le qualità essenziali, la bontà originaria, la peculiare “natura di Buddha”. Ciascuno di noi è fondamentalmente buono. Anche se l’educazione rimarrà pur sempre fondamentale, il cosiddetto sostrato animico – o, se preferite, il superego – celia in attesa che la consapevolezza non illumini gli angoli più remoti della propria – umile quanto ineffabile – ordinaria coscienza. Ora riflettiamo su ciò che dice – con molta meno enfasi – Jack Kornfield. …
«In un grande tempio dell’antica capitale della Thailandia, Sukotai, un tempo c’era un enorme, antico Buddha di terracotta. Non era certo l’opera più bella o più raffinata dell’arte buddhista thailandese, ma la si era custodita per più di cinquecento anni e si era cominciato a venerarla per la sua grande longevità: erano arrivate e passate tempeste violente, armate di invasori, cambi di governo, ma il Buddha di terracotta aveva resistito.
A un certo punto, tuttavia, i monaci che curavano la manutenzione del tempio notarono che la statua cominciava a mostrare qualche crepa e che presto avrebbe avuto bisogno di essere riparata e ridipinta. Dopo un periodo particolarmente torrido e secco, una delle crepe si allargò al punto che un monaco curioso prese la torcia elettrica e sbirciò all’interno: gli tornò indietro, riflesso, un lampo d’oro brillante! All’interno di quella vecchia statua di poco valore i monaci del tempio scoprirono una delle più grandi e più luminose immagini d’oro del Buddha mai create nel sud-est asiatico. Attualmente il Buddha d’oro, liberato dalla terracotta, attira folle di devoti pellegrini da tutta la Thailandia.
I monaci credono che quell’opera d’arte tanto splendida fosse stata ricoperta di gesso e di argilla per proteggerla in tempi di conflitti e di disordini. In modo analogo, tutti noi ci siamo trovati ad affrontare situazioni pericolose che ci hanno portato a ricoprire e nascondere la nostra nobiltà innata. Proprio come la gente di Sukotai aveva dimenticato l’esistenza del Buddha d’oro, anche noi abbiamo dimenticato la nostra natura essenziale; per la maggior parte del tempo agiamo mossi dallo strato protettivo. Scopo primario della psicologia buddhista è aiutarci a vedere al di sotto di quell’armatura e a portare alla luce la nostra bontà originaria, detta “natura di Buddha”.»
– Da: Jack Kornfield, il Cuore Saggio
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